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Intervista a Victorino Espinales Reyes

(Presidente della Fundaciòn dei Lavoratori delle Bananeras in Nicaragua Colpiti dagli Effetti del Nemagòn e Fumazone)
 

Può fare la storia della produzione del banano in Nicaragua?

Possiamo dire che la produzione del banano in Nicaragua si sviluppa in cinque tappe.

La prima inizia a principio del secolo, intorno al 1910-1912. E’ un tipo di coltivazione spontanea e poco curata ed avviene sulla Costa Atlantica, ma si hanno poche informazioni su quel periodo.

La seconda tappa è durante gli anni ’60. La produzione avveniva in base ad un progetto che si chiamava INFONAP (Instituto de Fomento Nicaraguense a la Producciòn). Cominciò una certa pianificazione, ma non durò molto perché non rispondeva ai bisogni delle multinazionali. La produzione veniva gestita dai privati che mettevano i terreni e parte del capitale; dallo Stato che metteva il capitale e l’esonero dalle imposte e dalle Multinazionali che mettevano la tecnica, il mercato ed il commercio. Durò 4 o 5 anni. In questo periodo fece l’apparizione l’uso di prodotti chimici per debellare i parassiti delle piante, ma le quantità erano minime. A quel tempo io avevo 12 -13 anni ed aiutavo mio padre nelle piantagioni. Apparve il Nemagòn che è meglio conosciuto come DBCP (dibromo-3-cloropropano). A quel tempo c’era la Chiquita, ma per noi sono tutte la stessa cosa. Hanno una casa centrale negli USA e fingono di essere separate, cose diverse, ma sappiamo che l’obiettivo, il contenuto e la linea economica è uguale per tutte. Ora, per esempio, la Standard Fruit si è ritirata, anche se sta per tornare, ma ha la licenza commerciale, mentre la Chiquita è quella che trasporta. Tornando all’uso del Nemagòn (...) veniva immesso nel suolo con grosse siringhe da 2 galones e mezzo (circa sei litri) facendo tre buchi intorno alla pianta dove c’erano le radici. Questo serviva ad eliminare i parassiti terrestri come il gusano barrenillo, il cuerudo ed i funghi.

A partire dal 1968 sparì INFONAP ed intervenne la Standard Fruit Company (SFC) che allora era sconosciuta in Nicaragua, mentre era già presente in Costarica ed Honduras. Cominciò a fare esami alla terra, alle strutture, alle vie di comunicazione e decise che il Nicaragua era un ottimo posto in cui investire. Chiaramente quello che gli interessava era il guadagno e non certo il beneficio sociale e la saluta della gente.

Per poter cominciare a produrre avevano bisogno di 4 cose: strade accessibili, terre buone di tipo A; un porto che fosse vicino per lo scarico e materiale tecnico e per la produzione e una manodopera forte, instancabile ed a basso costo. La zona di Chinandega, ad occidente del paese, godeva di tutte queste condizioni.

Chinandega, Posoltega, Chichigalpa, El Viejo, Tonolà, Puerto Morazàn, Corinto e Villa 25 de Julio, che a quel tempo dipendevano dalla produzione del cotone, ormai in crisi, si convertirono nelle zone del banano.

A partire dagli anni ’70 iniziò già un’altra fase in cui le multinazionali strutturarono il territorio in base ai propri bisogni. Le terre restarono in mano ai privati, spesso alleati del dittatore Somoza, e le multinazionali le affittavano solamente ma, in effetti, erano quelle che avevano in mano il controllo di tutto: la tecnica, il mercato ed il commercio/trasporto. Il padrone della terra era solo un alleato, ma erano la Dole, come trasportatrice e la SFC, come produttrice, che controllavano il settore.

Si ebbe anche un grosso cambio all’interno della produzione. Il lavoro era più tecnicizzato; migliorò notevolmente la produzione in termini di qualità e quantità; s’impiantarono nuovi tipi di sistemi d’irrigazione con cannoni alti 3 metri che sparavano il liquido ad 80 metri di distanza. Allo stesso tempo, però, peggiorava la situazione dei lavoratori che dovevano fare turni massacranti con un salario misero ed un’alimentazione pessima.

A partire da questo periodo si cominciò ad utilizzare in modo massivo e continuato il Nemagòn, sia con le siringhe che con i cannoni d’irrigazione con una pressione a 160 libbre. In questo modo notammo che venivano controllati i parassiti terrestri ma anche quelli aerei e che le piante divennero molto più alte, frondose ed il casco di banane passò a pesare da 110-120 libbre (55 Kg) a 160-170 libbre (80Kg) ottenendo, per ognuno, fino a 2 casse e mezzo di banane. Ad un certo punto, però, notammo che, oltre a controllare ed uccidere i parassiti, uccideva qualsiasi forma di vita animale che si aggirava tra i banani: galline, uccelli, rospi, serpentelli, formiche. La cosa cominciò ad insospettirci, ma mai immaginammo e mai nessuno ci avvisò dei rischi e che il prodotto potesse provocare danni alle persone; mai ci diedero un corso o delle informazioni per come proteggerci, o che metodi usare per prevenire i danni che causava.

Un’altra cosa che scoprimmo fu che il prodotto veniva cosparso solo di notte e poi capimmo che era molto volatile e ad alte temperature, evaporava prima di poter rendere effettivo il suo potenziale.

Si continuò così fino alla fine degli anni ’70. Nel 1979 ci fu la Rivoluzione Sandinista con la caduta del dittatore Somoza e la confisca delle sue proprietà e di quelli che erano i suoi maggiori alleati all’interno della Guardia Nacional.

Le bananeras, però, non furono mai confiscate perché i proprietari non erano schierati con Somoza ed il suo partito, ma lo appoggiavano in quanto era l’unico modo per poter operare in Nicaragua in quel tempo. Uno solo, Alfonso Deshon Callejas, era un vero somozista ed era stato vicepresidente della repubblica.

Nel 1980, come lavoratori, chiedemmo al Governo che intervenisse nelle bananeras per difendere i nostri diritti che erano continuamente calpestati. Il Governo sandinista decise, quindi, di non espropriare le terre, ma di prendere in mano la politica economica, commerciale, amministrativa e produttiva del banano e le multinazionali, nel 1982, abbandonarono il paese senza pagare un contratto di 4 anni e mezzo per la produzione già effettuata.

Lo Stato formò, allora, due imprese: la EMBANOC che si occupava della produzione e la BANANIC INT. che era la commercializzatrice. A causa dell’embargo USA e della guerra con la Contras si riuscirono sì ad aprire nuovi mercati, ma crollò la produzione che passò da 6 milioni e mezzo di casse per anno a 2 milioni degli anni ’80.

Nel 1990, dopo la sconfitta elettorale del FSLN e l’elezione di Doña Violeta Barrios de Chamorro, si cominciò la quinta fase della storia del banano nel nostro paese. Il nuovo Governo, come prima cosa, sospese un processo contro la Standard Fruit iniziato dal Governo sandinista nel 1987 presso la Corte Suprema dell’Aia per lo sfruttamento ai lavoratori nicaraguensi durante gli anni ’70 e per il mancato pagamento dell’usufrutto delle piantagioni.

Venne sciolto EMBANOC ed il controllo delle proprietà restituito ai proprietari.

Nel 1992 ritornò la Chiquita Brand. ed il prossimo agosto tornerà la Standard Fruit.

La produzione cominciò a migliorare. Nel 1992 si risollevò a 3 milioni e mezzo di casse per anno e l’anno scorso arrivò a 5 milioni.

Oggi, purtroppo, si è tornati esattamente alla situazione degli anni ’70; le multinazionali sono quelle che definiscono le regole della produzione, del commercio, dell’aspetto tecnico-amministrativo ed i privati, proprietari delle terre, sono solo figure decorative. Non possono produrre senza l’appoggio delle multinazionali ed inoltre si devono sobbarcare l’aspetto della contrattazione e della gestione della manodopera.

In tutto ci saranno tra i 3800 ed i 4200 lavoratori dei quali, solo 600, fanno parte della vecchia guardia; gente che ha 45-50 anni e che non regge più questo tipo di lavoro. La maggior parte dei nuovi sono giovanissimi ed hanno tra i 16 ed i 22 anni e sono quelli che io chiamo "la nueva clase obrera". Vivono ancora condizioni di lavoro pessime. Hanno contratti a termine che vengono rinnovati se si comportano bene e non creano problemi; guadagnano circa 1 dollaro per le 8 ore di lavoro e possono raggiungere i 3 dollari facendo fino a 10 e più ore. E’ gente che, quando avrà 30 anni ne dimostrerà 50. Il vitto è pessimo e poco nutriente. Ci sono stati dei miglioramenti rispetto ai carichi di lavoro, ma è un’inezia rispetto alle condizioni generali. Tutti lo sanno, ma nessuno fa nulla.

Come si arrivò a capire che la causa delle tante malattie di cui soffriva la popolazione delle bananeras era il Nemagòn?

Nel 1990, una volta caduto il Governo Sandinista, andai in Guatemala ad un Convegno Ecologico. In quel tempo lavoravo ancora con la CST (Central Sandinista de los Trabajadores) e con la ATC (Asociaciòn Trabajadores del Campo) e quindi riportai tutto quello che avevo visto e sentito. Là mi resi conto che in altri paesi, come Costarica, Honduras, Guatemala, si stavano facendo indagini e ricerche sulle cause che stavano facendo ammalare e morire centinaia di persone che avevano lavorato nelle bananeras. Vidi che le malattie erano le stesse di cui soffrivano anche i miei compagni di lavoro. Scoprii, inoltre, che i prodotti Nemagòn e Fumazone, entrambi a base di DBCP (dibromo-3-cloropropano), erano stati vietati negli USA già negli anni 70 e che quindi, le imprese produttrici e quelle applicatrici e commercializzatrici, lo avevano impiegato ugualmente in Centroamerica nonostante, negli USA, alcune persone avessero già vinto cause milionarie per i danni ricevuto dal contatto con questi prodotti. Si parlava di indennizzi di 1 o 2 milioni di dollari.

Immediatamente ci mettemmo al lavoro per poter far causa alle ditte produttrici del Nemagòn, come la Shell Oil Company, la Dow Chemical e la Occidental Chemical Inc, ed alle imprese applicatrici come la Standard Fruit C.

Nel 1990 si aprì il processo negli USA e portammo tutti gli esami fatti ai lavoratori ed alle lavoratrici. C’erano buonissime possibilità di vittoria, ma purtroppo, i nostri stessi compagni leader dei sindacati, con il beneplacito del Governo e degli avvocati, giunsero ad un accordo extragiudiziale con le Compagnie produttrici e ricevettero 28 milioni di dollari in cambio di una firma su un documento che declinava qualsiasi responsabilità delle imprese per i danni subiti dai lavoratori a seguito del contatto con i pesticidi a base di DBCP.

A questo accordo parteciparono solo 812 lavoratori degli oltre duemila che avevano fatto causa. Gli altri, rendendosi conto dello sporco gioco che si stava facendo alle loro spalle, rifiutarono l’offerta.

Degli 812 lavoratori, l’85% ricevettero 100 $ di indennizzo; 36 più di 500$; 16 tra 1000 e 1500 $ e solo 5 o 6 ricevettero da 2000 a 3000 $. Questo dipese dalle conoscenze e dal legame che avevano con il sindacato. Il resto dei milioni, ancora oggi, non si sa che fine hanno fatto. Dopo il 1992, con la fine del tentato processo, si persero tutte le informazioni e con il resto dei lavoratori, decidemmo fondare una nuova associazione, la ASOTRAEXDAN (Asociaciòn de Trabajadores y Ex Trabajadores Afectados por el Nemagòn), completamente staccata da partiti politici e da sindacati come la ATC e la CST.

Quali sono i danni e le malattie più gravi che hanno colpito i lavoratori e le lavoratrici delle bananeras?

I danni sono tanti ed enormi: vi sono stati già 110 morti per varie cause e molti altri compagni stanno solo aspettando la fine dato che i dottori gli hanno già diagnosticato che non c’è cura.

Stiamo parlando di tumori ai reni, al pancreas, alla milza; cecità precoce con persone di 40 anni che non vedono quasi più nulla; fragilità ossea; aumento esagerato della temperatura corporea; atrofia dei testicoli; ematomi, eruzioni cutanee e deformazioni in tutto il corpo; perdita di peso; caduta della pelle, dei capelli e delle unghie; alterazioni nervose; sterilità totale, parziale e danneggiamento degli spermatozoi che stanno provocando la nascita di bimbi deformi.

Abbiamo già prove che il potere residuo del Nemagòn nel sottosuolo è di almeno 120 anni.

In tutti questi anni, nei 7 municipi dove sono state sviluppate le bananeras, sono passati tra gli 8400 ed gli 8600 lavoratori di cui 2500 donne. Inoltre, il problema è più ampio. Il Nemagòn veniva sparato con i cannoni d’irrigazione di notte. I primi lavoratori arrivavano alle 4 di mattina e poi ci passavano le mogli che gli portavano il pranzo; i bambini che venivano a giocare; le famiglie di lavoratori o custodi che vivevano dentro le bananeras. A tutte queste persone cadevano le goccioline condensate del pesticida o comunque, in qualche modo, venivano a contatto con il prodotto comprese le donne che lavoravano nell’impacchettamento delle banane. Si può quindi dire che il problema tocca l’intera comunità e tutte quelle famiglie che, ad esempio, attingono l’acqua dai pozzi, un’acqua che è contaminata dal Nemagòn

Stiamo parlando di almeno 20 mila persone che sarebbero da controllare con degli esami medici completi. Si calcola che, in ogni famiglia composta in media da sei persone, almeno quattro sono colpite da malattie che derivano dal contatto con il Nemagòn.

Nessuna struttura pubblica controllata dal MINSA (Ministerio de Salud) ci ha voluto aiutare facendo diagnosi alle persone che portavamo. Il personale ha paura delle ritorsioni del Ministero e di essere licenziato. Ci dicono le cose di nascosto, ma non sono disponibili a scriverle ufficialmente. Siamo stati costretti ad andare presso laboratori privati che sono carissimi. Un esame completo per una donna costa più di 100 $ e dobbiamo ancora far visitare, per poi poter iniziare con il processo contro le multinazionali, 1800 uomini e 1000 donne. La maggior parte di loro non hanno speranza e sono destinati a morire ed oggi stanno già vivendo una situazione di morte sociale perché nessuno da loro lavoro quando si presentano senza capelli, senza unghie, senza pelle o perché non ce la fanno più e si stancano subito. Per questo abbiamo fondato anche questa Fondazione, la FUNPPANFBAN.

Quali sono gli obiettivi di questa Fondazione?

La Asotraexdan, di cui sono presidente, è un’associazione nata prevalentemente per la lotta dei lavoratori delle bananeras e per poter fare pressione per l’approvazione di una legge specifica per i colpiti dall’uso del Nemagòn, cosa che ci permetterà, ora, di fare causa alle multinazionali. In quanto associazione siamo però limitati in quanto ai rapporti con altre associazioni straniere che vogliono aiutarci, anche economicamente, nella nostra lotta e quindi abbiamo dato vita alla Fundaciòn che ha obiettivi prevalentemente incentrati nell’aiuto concreto alle persone che non sono più in grado di autosostenersi perché malate e con un futuro totalmente incerto.

Tra i vari obiettivi abbiamo quelli di un progetto di salute integrale che comprenda una terapia psicologica riabilitativa e ricreativa per le persone colpite dalle malattie; la creazione d’impiego attraverso piccoli progetti produttivi; un progetto di ricerca medica con la creazione di un laboratorio proprio in modo da non dover dipendere dal MINSA. Tutti i progetti produttivi saranno a livello municipale ed a conduzione collettiva. Esiste il problema della terra su cui sviluppare tali progetti. L’idea è quella che, una volta iscritti regolarmente al MINGOB (Ministerio de Gobernaciòn) per evitare quello che sta succedendo alle altre fondazioni che, non essendosi iscritte, ora rischiano la chiusura in quanto scomode al governo, di chiedere le terre al Governo stesso. Se non incontreremo la disponibilità dovremo chiedere ai privati i finanziamenti per l’acquisto.

Una cosa è certa: qualsiasi tipo di progetto produttivo dovrà essere avviato senza l’uso di prodotti chimici. Cercheremo di lavorare con prodotti organici, ma di chimici non ne vogliamo nemmeno sentir parlare. Sarà più difficile e lungo, ma per noi è fondamentale dopo tutto quello che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere.

A che punto è la Legge che inquadra e regola la tematica del Nemagòn?

Il 17 gennaio del 2001 è stata finalmente pubblicata dopo un’attesa di più di due mesi in cui il Presidente Alemàn l’aveva messa nel cassetto e sembrava non volesse firmarla.

E’ stato un parto difficilissimo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta.

Ci abbiamo messo più di due anni e contando solo con le nostre forze e gli aiuti economici di amici. Ci siamo scontrati con le resistenze del governo, dei sindacati e degli altri partiti perché eravamo troppo scomodi dopo aver denunciato la vergogna del processo dei 28 milioni di dollari di cui ho già parlato. Il caso, però, era troppo grosso ed abbiamo fatto una grande pubblicità, nel paese e fuori, sui disastri provocati dal Nemagòn e quindi, alla fine, le Commissioni Lavoro e Diritti Umani del Parlamento hanno spinto affinché la Legge 364 venisse approvata.

Nell’ottobre scorso siamo rimasti 3 settimane accampati davanti all’Asamblea Nacional fino all’approvazione della Legge. In molti ci hanno aiutato con viveri, coperte, tende e sono stati tantissimi quelli che arrivavano anche solo per darci la loro solidarietà. Abbiamo anche dovuto minacciare di sfilare nudi per le vie della città mettendo in mostra i danni che il Nemagòn ha provocato ai nostri corpi, ma per fortuna non ce n’è stato bisogno.

Voglio risottolineare la totale solitudine in cui ci hanno lasciato le istituzioni: quello che abbiamo fatto l’abbiamo fatto da soli, altrimenti saremmo ancora qui a leccarci le ferite.

Quali sono i contenuti della Legge 364?

E’ una legge molto importante, in quanto è l’unica che, nel Continente, tratta direttamente la problematica del Nemagòn e di tutti i prodotti a base di DBCP.

In sintesi, dalla data di notifica della denuncia alle Compagnie Multinazionali, che per ora sono la Dow Chemical, la Occidental Chemical Corp., la Shell Oil Company, come produttrici e la Standard Fruit Company, la Standard Fruit and Steamship, la Dole Fruit Company e la Chiquita Brand Inc., come applicatrici, tali compagnie avranno 90 giorni per depositare 100 mila dollari come garanzia per gli eventuali indennizzi ai lavoratori e per coprire parte delle spese processuali. In caso di mancato versamento il processo verrà spostato negli USA per eseguire la sentenza che sarà già di colpevolezza in quanto non avranno rispettato i termini di legge e dovranno rinunciare al "Foro non Conveniente".

Questa formula del "Foro non Conveniente" era stato applicato dalla Corte di Giustizia USA su richiesta delle multinazionali affinché, basandosi sul fatto che i denuncianti non erano nordamericani e che quindi non potevano avvalersi delle leggi e delle strutture USA, tutte le cause venissero spostate nei paesi di origine dei denuncianti contando sul fatto che, lì, non esistevano leggi apposite.

La legge, inoltre, prevede che le compagnie dovranno, sempre entro i primi 90 giorni, depositare 300 milioni di dollari, in una banca da loro scelta, come anticipo sugli eventuali indennizzi che dovranno versare ai lavoratori.

Vengono anche previste due cose molto importanti e cioè che i lavoratori, per dimostrare la loro malattia derivante dal contatto con il Nemagòn, dovranno presentare due certificati medici emessi da cliniche riconosciute dal MINSA e che si prevedono, come indennizzi cumulabili tra loro, le cifre di 100mila dollari per chi soffre di sterilità totale; 50mila dollari per chi soffre di sterilità parziale e 25mila dollari per gli altri tipi di malattia. Chiaramente chi è colpito da più effetti del Nemagòn potrà sommare i vari indennizzi. Sappiamo che non è molto rispetto agli indennizzi milionari che alcuni cittadini USA hanno ricevuto per casi come i nostri, ma siamo in Nicaragua e questo è già un passo molto importante.

Immagino che le multinazionali staranno muovendosi per difendere i propri interessi e la propria immagine. Avete già avuto modo di capire quali saranno le loro mosse dopo l’approvazione di questa legge?

Loro stanno cercando di agire in due modi: il primo è comprandoci. A me hanno offerto 20mila dollari affinché mi astenessi dalla lotta; ad altri mille o 5mila dollari, ma non abbiamo accettato e gli abbiamo risposto che noi non cerchiamo i soldi, ma che volevamo dare un esempio che potesse servire anche per il resto dei paesi in cui sono avvenute le stesse cose. Abbiamo voluto dimostrare che in Nicaragua esiste ancora gente che crede nella classe lavoratrice e nei suoi diritti.

Il secondo tentativo è stato quello di far credere al paese che, con questa causa milionaria aperta, il mercato del banano sarebbe crollato lasciando a spasso migliaia di lavoratori. Sappiamo che è falso ed anzi, le notizie che abbiamo è che il mercato è in espansione.

Esiste un’altra formula piuttosto ambigua che é stata inserita nella legge e che potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. L’articolo 13 dice che, per i lavoratori denuncianti che non hanno i soldi per avviare il giudizio, lo Stato è obbligato a fornire i mezzi e l’assistenza tecnica e finanziaria necessaria. Nel momento in cui lo Stato paga il processo potrebbe, poi, farsi passare come beneficiario degli indennizzi; proprio per questo stiamo cercando il maggior numero di appoggi per evitare di incorrere in questo rischio.

Dicevi che esiste già un processo aperto. Con l’approvazione della legge 364 aprirete un’altra causa o continuerete con quella già in corso ampliando il ventaglio delle imprese denunciate?

Queste sono due possibilità che stiamo studiando attentamente perché non vogliamo lasciare nemmeno una minima possibilità di scappatoia alle imprese. Non lo abbiamo ancora deciso ed i nostri avvocati le stanno studiando a fondo tutte e due.

La causa già aperta, per 10 milioni di dollari, risale al 1998 quando denunciammo la Dole e la Standard Fruit Company per tutto quello che avevano fatto, negli anni, ai lavoratori.

Riuscimmo, con una sentenza di una giudice e la collaborazione di due ottimi avvocati, a far mettere sotto sequestro giudiziario preventivo 54 camion, del valore di 40 mila dollari cadauno, pieni di banane che erano già pronti a varcare la frontiera honduregna ed a bloccare, con più di 2mila lavoratori, le uscite delle varie fincas dove si produce il banano. Il blocco durò per alcune settimane e le compagnie gridarono allo scandalo.

Venimmo anche denunciati dalle compagnie stesse, ma il loro obiettivo era solo quello di arrivare ad un accordo extragiudiziale, cosa che non accettammo arrivando fino in fondo al processo e la Suprema Corte di Giustizia ci dette ragione e quindi, ora, siamo totalmente liberi.

Come si risolse la protesta del 1998?

Alla fine decidemmo di togliere i blocchi perché avevamo già raggiunto il nostro obiettivo che era quello di denunciare quello che stava succedendo e l’abbandono in cui, tutte le istituzioni, i partiti ed i sindacati, ci avevano lasciato. Sapevamo, inoltre, che il Governo avrebbe fatto intervenire la polizia antisommossa cosa che, puntualmente, si verificò il giorno stesso in cui togliemmo i picchetti.

Non serviva più continuare perché, dopo lo scandalo, avevamo il compito di cominciare a lavorare seriamente per l’approvazione della legge e concentrare lì i nostri sforzi.

Per quello che riguarda i camion il Governo fece pressione sul responsabile della Dogana affinché li facesse passare di nascosto. Restano, comunque, sotto sequestro e se dovessero tornare glieli riprendiamo nuovamente. La denuncia, come ti dicevo, è ancora aperta e vedremo se ampliare questa, estendendola alle altre compagnie produttrici ed applicatrici del Nemagòn che, in totale, dovrebbero essere circa 20, o se aprire un nuovo processo.

Come Fondazione ed Associazione state lavorando anche con i nuovi lavoratori?

Attualmente non rientra nei nostri piani perché siamo concentrati sulla legge e sulla denuncia che dovrebbe, una volta per tutte, rendere giustizia, almeno economicamente, alle migliaia di lavoratori e lavoratrici che hanno subito i danni dell’uso del Nemagòn, ma abbiamo già in cantiere la formazione di due sindacati municipali che entrino con forza per la difesa dei diritti dei nuovi lavoratori che, come ho già detto, sono ancora violati.

Esiste a livello centroamericano un coordinamento dei comitati che stanno lavorando sulla situazione delle bananeras?

Ci stiamo interessando a questo. Partiamo da tre presupposti:

  1. Il problema è uguale in tutta l’America Latina ed ha portato gli stessi danni alla gente. Il fatto è che, in molti paesi, si è fatta poca pubblicità sulle condizioni di chi ha lavorato o lavora nelle bananeras. In Centroamerica, ad esempio, si è lavorato abbastanza in Honduras e Guatemala, ma molto poco in Costarica.
  2. Tutti i paesi, a parte il Nicaragua, mancano di una legge specifica. L’idea è di fare una riunione per definire una strategia comune partendo dalla nostra legge come precedente per far pressione sui governi degli altri paesi.
  3. Attualmente esiste una strategia generale, ma mancano i finanziamenti e dovremo fare di tutto per trovarli.
E’ nata anche l’ipotesi di presentare la nostra legge al Parlamento Centroamericano affinché l’approvi per tutto il Centroamerica.

Per concludere, chi vi ha appoggiato fino a questo momento?

Abbiamo informato tutte le agenzie e tutte le istituzioni, ma le risposte sono state poche. Il CENIDH (Centro Nicaraguense para los Derechos Humanos) si è molto interessato e ci ha appoggiato in molte delle nostre iniziative di denuncia e la Procuradoria para los Derechos Humanos ha collaborato, ma non ha mai emesso una risoluzione.

All’interno dell’Asamblea Nacional solo la Commissione del Lavoro e quella per i Diritti Umani ci hanno aiutati, ma perché coinvolte direttamente nella formazione della legge.

Alla fine il maggior aiuto è venuto dai singoli; amici e compagni che ci hanno dato quel poco che avevano, ma che è stato fondamentale per arrivare fino a dove siamo oggi.