America Latina-L’Avana e Managua

L’Avana e Managua

due tentati ‘golpe’ gemelli

#SOSCuba, come #SOSNicaragua, #SOSVenezuela e #SOSBolivia

Managua, 22 luglio (di Jorge Capelan | Tortilla con Sal / LINyM) -.

Domenica 11 luglio, in una dozzina di punti sparsi per l’isola, si sono registrate proteste, in alcuni casi violente, a cui hanno participato tra le 100 e le 500 persone, presumibilmente a causa dell’allarme per la ripresa dei casi di coronavirus, la mancanza di cibo e problemi con il servizio elettrico.

In tutti i dodici punti, le stesse grida, gli stessi slogan, le stesse parole: “Cuba Decide” , la marca della fondazione della controrivoluzionaria Rosa María Payá, a Miami, con stretti contatti con l’establishment statunitense e la destra golpista latinoamericana ed europea.

La campagna è iniziata prima sui social media con un’ondata di tweet da account di artisti e altri di nuova creazione che chiedevano “aiuti umanitari” per Cuba.

Secondo un’indagine dell’analista spagnolo Julián Macías Tovar, il primo account a utilizzare l’hashtag #SOSCuba è stato localizzato in Spagna. Tra sabato 10 e domenica 11 ha pubblicato più di 1.000 tweet e una frequenza di retweet di 5 messaggi al secondo.

Domenica mattina sul presto, i media occidentali hanno iniziato a parlare di “crisi umanitaria” a Cuba, nonostante il fatto che l’isola, con livelli di mortalità dello 0,65%, due vaccini nazionali approvati e più di un terzo della popolazione vaccinata, sia una dei paesi meno colpiti dell’emisfero. Sulle reti circolavano video, spesso frammentari, di saccheggi, attentati a proprietà pubbliche e forze dell’ordine.

Poche ore dopo il trend #SOSCuba diventava virale e lo spazio mediatico mondiale dominato dall’occidente cominciava a riempirsi di titoli, non solo sulla “crisi umanitaria” a Cuba, ma anche su una “rivolta popolare” contro il “regime”. Non importava che i manifestanti che difendevano il governo e la rivoluzione e che sono scesi in strada un po’ in tutto il paese fossero la stragrande maggioranza: il racconto di una presunta insurrezione nell’isola era già penetrato e si era assestato nel subconscio collettivo globale.

Non importava nemmeno che, solo un paio di settimane prima, l’Onu avesse votato, per l’ennesima volta e quasi all’unanimità, contro l’embargo statunitense a Cuba. Sono bastati pochi click per creare un clima favorevole all’idea che sarebbe stato positivo “aiutare umanitariamente” Cuba. Purtroppo sappiamo cosa ciò significhi: invio di armi e sistemi militari affinché gruppi violenti all’interno dell’isola possano creare il caos. E se ciò non bastasse, preparare le condizioni per un’eventuale invasione.

Ora è il turno di Cuba, presumibilmente “ammorbidita” da 62 anni di embargo, brutalmente intensificato con Trump e proseguito con Biden, nonostante prima di assumere la presidenza avesse promesso il contrario. Guerra di ‘quarta generazione’, ‘ibrida’, ‘golpe suave’, ‘rivoluzione colorata’, insomma … indipendentemente da come la si vuole chiamare, sempre di guerra si tratta.

“Siamo in presenza di un copione preconcetto e per i nicaraguensi non sarà difficile capirlo, perché lo hanno già sperimentato sulla propria pelle”, dice l’ambasciatore cubano in Nicaragua, Juan Carlos Hernández Padrón. Il diplomatico era a Managua nei mesi, tra aprile e luglio 2018, del tentato “golpe suave”.

È vero che molte delle strategie messe in atto dall’impero per destabilizzare Cuba e Nicaragua sono state impiegate anche in Venezuela e Bolivia, ma quanto è successo questa settimana a Cuba presenta sorprendenti parallelismi con quanto è successo in Nicaragua tre anni fa. In entrambi i casi, l’obiettivo era lo stesso: stravolgere l’ordine istituzionale e la sovranità del Paese, per forzare un “cambio di regime” con il supporto di potenze straniere.

Vediamo di seguito quali sono i punti in comune.

Pianificazione a lungo termine
Il finanziamento permanente degli Stati Uniti alla controrivoluzione cubana è ben noto, così come quello alla destra antisandinista in Nicaragua, che si è poi intensificato quando il Fronte sandinista è tornato al potere nel 2007.

A Cuba, le promesse elettorali dell’attuale presidente Joe Biden di tornare a normali relazioni diplomatiche, affossate da Donald Trump, sono state totalmente disattese. Biden ha invece approfittato della grave situazione causata dall’inasprimento dell’embargo per tentare l’ennesima operazione “cambio di regime”.

Sia a Cuba che in Nicaragua, gli Stati Uniti hanno creato e finanziato “media indipendenti” che da anni diffondono informazioni distorte, stabilendo nicchie di consumatori per origine sociale, fasce di età, ecc., abituandole a una retorica sempre più conflittuale con mezze verità e fatti travisati, cercando di sabotare l’attuale istituzionalità.

Mentre a Cuba, oltre alla manipolazione sulle difficoltà causate dall’embargo statunitense si faceva appello a presunte libertà di cui godrebbero i cittadini del “mondo libero” occidentale, in Nicaragua i discorsi si concentravano su visioni tetre del futuro e, soprattutto, nel creare la percezione che in Nicaragua si stesse instaurando una dittatura. Una visione ben lontana dalla realtà di un processo politico e sociale, che incentiva la ‘restituzione dei diritti’ a partire dall’istruzione, la salute, la casa, i trasporti, gli spazi pubblici, la cultura e l’identità.

La scarsità di beni di prima necessità (reale o inventata), la presunta cattiva gestione del governo, la dittatura, la corruzione della polizia, l’arbitrarietà delle organizzazioni di massa, la violenza e la presunta necessità di cambiamento sono assi comuni della propaganda, sia a Cuba che in Nicaragua.

Mentre in Nicaragua il “golpe suave” poteva contare sui servizi di media come il canale televisivo 100% Noticias (che aveva firmato un accordo di cooperazione con la controrivoluzionaria cubana Yoani Sánchez di ‘14 y Medio’), Confidencial, La Prensa, Artículo 66, BacanalNica e altri – oltre a una miriade di pagine facebook e account twitter -, a Cuba succedeva lo stesso con media come El Estornudo, ADN Cuba, Ciber Cuba, Periodismo de Barrio e, anche qui, con la solita caterva di account sui social network.
L’elemento parastatale
Le ambasciate degli Stati Uniti e di altri paesi, soprattutto europei, hanno svolto un ruolo fondamentale nell’organizzazione del “colpo di stato morbido”, sia raccogliendo informazioni che coordinando gli attori sul campo. In Nicaragua, l’ambasciatrice Usa, Laura Dogu, ha occultato per anni dietro al classico comportamento diplomatico il vero obiettivo del suo lavoro, che era quello di preparare il “golpe suave” contro il governo sandinista. Sia a Cuba che in Nicaragua, il governo degli Stati Uniti è stato molto attento a non apparire come ‘istigatore del golpe’, anche se è impossibile nascondere l’origine dei fondi utilizzati e gli interessi dietro al tanto sospirato “cambio di regime”.
Denaro fraudolento
Ciò a cui si è assistito in Nicaragua è il finanziamento di azioni destabilizzanti eseguite da risorse interne (nazionali) o subappaltate  attraverso la triangolazione del denaro  A Cuba, le attività destabilizzanti sono state finanziate inviando denaro tramite emissari, nonché utilizzando corsi, premi, borse di studio, ecc. e ricariche telefoniche dall’estero.
Prove di golpe
Sia a Cuba che in Nicaragua ci sono stati ‘incidenti preparatori’ prima di lanciare l’offensiva golpista. A Cuba si è trattato del cosiddetto “Movimento San Isidro”, nato alla fine del 2020 quando, quelle che all’inizio sembravano rivendicazioni più o meno giustificate da parte di artisti nei confronti delle autorità culturali, sono presto degenerate in una serie di provocazioni e sfide aperte contro l’ordine costituzionale nel paese. Un’analoga provocazione, seppur minore, è avvenuta a fine giugno con l’ingresso a Cuba di Hamlet Lavastida, un personaggio che dall’estero aveva ripetutamente chiesto ai cittadini di violare la legge e che, per questo, è stato arrestato per istigazione alla criminalità.

In Nicaragua, prima il Movimento #OcupaINSS (2013) aveva cercato, inutilmente, di manipolare le richieste dei pensionati, poi aveva fatto lo stesso con gli incendi scoppiati nella Riserva Indio Maíz usando l’hashtag #SOSIndioMaiz. L’obiettivo era lo stesso: testare le varie strategie golpiste e misurare la capacità di risposta delle autorità.
False leadership
La strategia golpista passa anche dalla promozione di “nuove leadership” all’interno di segmenti della società impegnati su tematiche come ambientalismo, genere, diversità sessuale, arte, legalità, che permettono di diversificare e trasmettere gli stessi messaggi, ma dando l’idea che si tratti di un movimento sostenuto dalla stragrande maggioranza della società.

A differenza dei movimenti sociali organici, emersi dalle contraddizioni intrinseche della società, queste ‘nuove leadership’ mostrano un’insolita violenza retorica e un’altrettanto insolita propensione ad allearsi con settori dell’estrema destra, spesso caratterizzati dall’assunzione di posizioni diametralmente opposte. Ad esempio, gruppi che affermano di difendere i diritti degli omosessuali che si alleano improvvisamente con personaggi e settori dichiaratamente omofobici.
Autoesaltazione
Corsi di formazione, premi ed eventi internazionali che ricevono un’ampia copertura mediatica all’estero, al fine di dare prestigio alla matrice d’opinione imperiale e garantire visibilità mediatica alle leadership che si intende promuovere. Ad esempio, in Nicaragua nel 2018, durante il “golpe suave”, diverse figure di intellettuali ex sandinisti (Sergio Ramírez, Ernesto Cardenal e Gioconda Belli) legate all’opposizione golpista hanno ricevuto diversi riconoscimenti internazionali. A Cuba, l’organizzazione di Rosa María Payá ha organizzato un seminario internazionale a Miami in cui ha premiato personalità di spicco dell’estrema destra europarlamentare.
Il miglior momento
Si è trattato poi di selezionare il momento più opportuno e di massimo impatto propagandistico per lanciare il “golpe”. Nel caso del Nicaragua, dopo la campagna di disinformazione sull’incendio nella Riserva Indio Maíz, si è deciso di lanciare l’offensiva subito dopo l’approvazione di una riforma del sistema pensionistico, il cui contenuto era ben noto ai golpisti, poiché era stato discusso a lungo con i loro principali leader (impresa privata).

A Cuba, dopo l’incidente sul ritorno di Hamlet Lavastida, si è deciso di agire l’11 luglio, approfittando di un aumento dei casi di Covid-19 nell’isola. Sia a Cuba che in Nicaragua, i pretesti per il golpe sono stati totalmente esagerati e presi fuori contesto, per impiantare la matrice d’opinione golpista sia all’interno che all’estero.
Facebook e Twitter
Si tratta dell’utilizzo dei social network come strumento politico-militare di propaganda e controllo sociale. Una volta deciso il momento, sia a Cuba che in Nicaragua i social network sono esplosi con l’etichetta #SOS (#SOSCuba, #SOSNicaragua). Dal nulla sono comparsi resoconti di gruppi sconosciuti o poco conosciuti che ripetevano le stesse parole d’ordine e gli stessi contenuti. Allo stesso modo sono comparsi account falsi (bot) che pubblicavano e inoltravano messaggi a una velocità impossibile per un essere umano.

Sia a Cuba che in Nicaragua la campagna di propaganda telematica è arrivata dall’estero. Nel caso del Nicaragua, si sapeva dell’esistenza di “bot farm” in El Salvador che inviavano migliaia e migliaia di messaggi al minuto, una cosa totalmente fuori dalla portata di hackers non professionisti. La propaganda sui social network è stata caratterizzata dall’alto impatto emotivo e dalla sua aggressività. 

Sia a Cuba che in Nicaragua sono state mostrate immagini di altri paesi e sono state raccontate ogni sorta di falsità per ingannare le popolazioni. Sia a Cuba che in Nicaragua le “regole comunitarie” dei social network venivano applicate selettivamente contro coloro che difendevano il governo o non si piegavano alla linea della propaganda golpista, mentre i promotori del golpe erano liberi di pubblicare ciò che volevano e senza alcun tipo di censura.

Sebbene non esistano prove, è logico presumere che il traffico dei social media sia stato (ed è) utilizzato dal governo degli Stati Uniti come fonte di intelligence per cercare tutti i tipi di correlazioni e modelli di interazione sociale delle popolazioni prese di mira dalla politica di aggressione.
Gli influencer
Si tratta dell’utilizzo di “influencer” per promuovere il golpe, rivolgendosi a diversi segmenti sociali, ma soprattutto ai giovani. Mentre in Nicaragua è stato utilizzato l’account di Miss Nicaragua, a Cuba è stato utilizzato quello dell’attrice porno Mia Khalifa. A questi “influencer” si sono presto aggiunti artisti, giornalisti e altre personalità.

Nel caso del Nicaragua, ad esempio, la cantante Katia Cardenal (precedentemente non pubblicamente identificata come oppositrice) ha diffuso gravi menzogne, come quella che il governo nicaraguense stesse usando armi chimiche sulla città di Masaya, poi ripubblicata dall’influencer globale Bianca Jagger. In questo modo la fake news ha fatto il giro del mondo.
La dittatura mediatica
Gli organi della dittatura mediatica occidentale, come CNN (Usa), El País e ABC (Spagna), le agenzie EFE (Spagna) e DW (Germania), si sono uniti allo stridente coro di bugie su ciò che stava accadendo a Cuba l’11 luglio e su ciò accadeva in Nicaragua nel 2018.

Hanno inventato le dimissioni di ministri, hanno fatto a gara tra loro per vedere chi distillava più odio contro il governo rivoluzionario, hanno nascosto il più possibile la natura violenta delle manifestazioni golpiste, così come la mobilitazione dei popoli cubani e nicaraguensi in difesa delle rispettive rivoluzioni.
Guerra politica lampo
Si tratta dell’uso della strategia di Blitzkrieg o “guerra lampo” con la creazione di focolai di vandalismo in rapida successione che danno l’impressione di una rivolta diffusa.

Questi focolai sono spesso coordinati attraverso i social media e tendono a mobilitare i giovani. Le autorità devono essere provocate continuamente per costringerle a rispondere con la forza. Immagini scioccanti, brevi, scattate a livello del suolo e spesso manipolate con suoni sovrapposti, vengono utilizzate come input per la campagna sui social network.

In città come Managua o L’Avana, che hanno circa due milioni di abitanti, diverse centinaia o anche mille persone per strada non sono rappresentative dell’opinione generale della popolazione, ma nel contesto di una campagna golpista e pubblicate sui social, diventano una “rivoluzione”.
Non negoziare nulla
Un altro elemento è la continua escalation delle richieste. In Nicaragua hanno iniziato chiedendo la “pensione per i vecchietti”, poi le “elezioni anticipate”  e infine le “dimissioni del presidente”. A Cuba è invece “il covid”, “la mancanza di cibo”, poi “le dimissioni del governo” e lo “scioglimento del partito” e infine “l’invasione dei marines”.

L’essenza del “golpe suave” è non negoziare nulla e imporre un “cambio di regime”, per applicare ricette economiche totalmente estranee agli interessi del paese e anche a quelli della maggioranza di coloro che si definiscono oppositori del governo.
Criminali
L’obiettivo del “golpe suave” è soprattutto quello di creare determinate percezioni nella popolazione target. Gli atti dovrebbero essere, per quanto possibile, molto violenti in modo da abbattere le difese razionali del pubblico, provocando panico e perdita di fiducia nella solidarietà sociale. Per questo tipo di cose si usano delinquenti.

Nel caso del Nicaragua, migliaia di criminali sono stati usati per distruggere proprietà pubbliche, rapire, uccidere e persino torturare persone nei famigerati “tranques de la muerte”. Un caso noto è quello di Cristhian Josué Mendoza , alias “El Viper”, un soggetto legato al traffico di droga.

A Cuba c’è il caso del ladro e aggressore Esteban Rodríguez López, leader del gruppo che ha organizzato il falso sciopero della fame a sostegno dell’altro criminale Luis Manuel Otero Alcántara, elevato dai media occidentali alla categoria di “artista perseguitato”.
I simboli
Come per i tags o gli hashtag, l’uso altamente disciplinato dei simboli (elemento che contraddice il racconto delle “rivolte spontanee”) è un ingrediente propagandistico chiave per imporre una realtà fittizia, sia per la popolazione target che per l’opinione pubblica internazionale. Sia a Cuba che in Nicaragua la bandiera nazionale è stato il simbolo prescelto.

In Nicaragua, l’uso della bandiera con lo scudo capovolto e macchiata di sangue è stato ampiamente utilizzato e diffuso dai promotori del tentato golpe, anche se alla fine la popolazione ha reagito negativamente di fronte al vilipendio di un simbolo così amato.
A Cuba è accaduto lo stesso.
Altri simboli usati sono state le date della presunta ‘rivolta popolare’ – il 19/A in Nicaragua e l’11/J a Cuba – così come parole d’ordine, motti, slogan, canzoni, che sono patrimonio della rivoluzione cubana e di quella nicaraguense. In questo modo, per esempio, il “Patria o Muerte” di Fidel Castro è diventato “Patria y Vida” e il “Patria libre o morir” del sandinismo è diventato “Patria libre para vivir” (questo ultimo paragrafo è stato aggiunto dal traduttore al testo originale in spagnolo)
Conclusioni
Benché gli elementi segnalati li ritroviamo praticamente in tutte le campagne d’ingerenza politica degli Stati Uniti realizzate in questo secolo, dentro e fuori l’America Latina, la somiglianza tra quanto accaduto questa settimana a Cuba e tre anni fa in Nicaragua è davvero sorprendente.
È importante notare che si tratta di tentativi di “colpo di stato”, anche se non c’è stata la partecipazione né della polizia, né delle forze armate, in quanto si tratta di complotti con un appoggio popolare ridotto, totalmente dipendenti dal fattore sorpresa e con finalità non esplicitamente espresse per evitare il ripudio popolare.
In Nicaragua, il tentativo fallito di “golpe suave” del 2018 ha galvanizzato la società e l’ha resa consapevole dei veri interessi in gioco. Quell’assurdo tentativo ha provocato più di 200 morti e miliardi di dollari di perdite.
Da allora, si sono ricomposte le alleanze e il popolo, rafforzato economicamente grazie alle politiche sandiniste, si sta riprendendo dagli effetti di quella sciagurata avventura. L’oligarchia, da parte sua, ha evidenziato la sua collusione con progetti antipopolari e contrari agli interessi della nazione.
A Cuba, sebbene sia troppo presto per cantare vittoria, i disordini dell’11 e 12 luglio sono terminati non appena iniziati e la situazione sembra tornata alla normalità. Anche se, come nel caso del Nicaragua, l’esperienza del tentato “golpe suave” ha rafforzato la coscienza della popolazione, non c’è alcun dubbio che il copione interventista continuerà e che nuovi tentativi verranno fatti.

Fonte: Tortilla con Sal  (spagnolo)

Traduzione: Giorgio Trucchi | LINyM