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I dieci anni del governo sandinista

La Rivoluzione popolare sandinista ha tre fonti ideologiche principali: in primo luogo l'eredità della lotta del generale degli uomini liberi contro l'invasore straniero; in secondo luogo, una sorta di «socialismo terzomondiale»; infine, il cristianesimo della chiesa di base, imperniato sulla Teologia della liberazione (estremamente popolare in tutta l'America Latina durante gli Anni Settanta ed Ottanta).
«Abbiamo vinto la guerra contro il somozismo. Adesso dobbiamo affrontare la guerra contro l'ignoranza ed il ritardo economico, la guerra per ricostruire il nostro paese.
«Il popolo ci ha seguito nella nostra lotta contro la Guardia nacional. Noi gli chiediamo di rimanere con noi, nella nostra lotta per la ricostruzione. La ricostruzione non sarà fatta in un giorno, e richiederà tempo e lavoro, ma la rivoluzione non sarà mai tradita».


Tomás Borge, 20 luglio 1979 

Al momento della liberazione, la situazione socioeconomica del Nicaragua è estremamente pesante, per non dire disastrosa. Managua è in buona parte distrutta e così pure varie altre città. Mancano totalmente i servizi di base: acqua, energia elettrica, mezzi di trasporto, scuole, ospedali e così via. Il paese e la popolazione debbono lottare duramente per la loro sopravvivenza: la mortalità infantile è altissima (120 per mille) e l'analfabetismo supera il 50%. Se nell'80% delle case della capitale manca l'acqua corrente, questa percentuale sale al 99% nelle zone extraurbane, mentre il 47% è priva di servizi igienici. Il nuovo governo, formato soprattutto da giovani, deve perciò affrontare una situazione estremamente difficile, sia dal punto di vista dell'organizzazione politica, che da quello socioeconomico.
Quella nicaraguense, per oltre quarant'anni, è infatti un'economia completamente asservita al potere somozista e, per di più, estremamente arretrata, nella quale per tradizione il settore agricolo occupa il 45% della popolazione attiva. Su cento lavoratori, trentasei sono disoccupati e trentacinque sottoccupati, mentre il reddito medio reale di almeno metà della popolazione non supera i novanta dollari mensili, sebbene quello medio globale sia di seicentosessanta dollari. Le colture principali sono il mais, il caffè ed il cotone. Questi tre prodotti riassumono l'agricoltura del paese: il mais è l'alimento di base della popolazione (assieme a fagioli e riso), gli altri due sono i principali prodotti d'esportazione.
Inoltre, il paese non possiede risorse energetiche, sfrutta in maniera molto modesta i propri giacimenti auriferi, come pure quelli di zinco e di rame; l'industria è assai poco sviluppata e, nella sostanza, si limita ad una raffineria di petrolio nei pressi di Managua.
Il nuovo governo, quindi, eredita dal somozismo un paese completamente saccheggiato e distrutto, in conseguenza dei lunghi anni di malgoverno, di repressione e di corruzione, oltre ai danni causati sia da una forte crisi sociale che dalla guerra di liberazione. Oltre ai danni irreparabili causati dalla perdita di vite umane (sessantamila morti, centoventimila feriti, quarantamila orfani), è elevatissimo il costo economico dei danni causati alle infrastrutture economiche, industriali e sociali (cinquecento milioni di dollari).
Nel maggio del 1979, il Fondo monetario internazionale (Fmi) concede al regime di Somoza un prestito di sessantasei milioni di dollari e la prima metà viene depositata presso la Banca centrale di Managua il 1° giugno successivo. Dopo il trionfo rivoluzionario, però, nelle riserve bancarie vi sono solamente tre milioni e mezzo di dollari: il dittatore lascia nelle casse dello Stato una somma appena sufficiente per finanziare le importazioni di due giorni. Coscienti di questa catastrofica situazione, sia il popolo nicaraguense che il Fsln mettono in atto un enorme sforzo per porre fine alle ingiustizie sociali ed economiche, ossia al sottosviluppo, individuando nella dipendenza economica il primo obiettivo da combattere e da superare.
I danni di guerra ammontano ad oltre due miliardi di dollari, mentre il debito estero è di 1.641 milioni di dollari. Il Prodotto interno lordo (Pil) cade del 25% nel corso dell'anno, l'inflazione è completamente fuori da qualsiasi controllo, il sistema bancario e quello finanziario sono in completa bancarotta. In generale, al 19 luglio 1979, l'economia nicaraguense si presenta sostanzialmente agli stessi livelli del 1962. Per questo, già il 27 agosto del 1979, il coordinatore della Giunta provvisoria di ricostruzione, Daniel Ortega, interviene all'Onu per chiedere il sostegno della comunità internazionale.
Si tratta di ripartire da zero e la parola d'ordine obbligatoria è, pertanto: «ricostruzione». Il punto di partenza della politica di ricostruzione del paese è l'emergenza, la quale si inserisce però nel quadro di una serie di acute tensioni regionali, di ripetute minacce da parte degli Stati Uniti e di una situazione complessiva del Centro-America che, in questo stesso 1979, presenta una realtà socioeconomica a dir poco disastrosa.
All'indomani del trionfo, Daniel Ortega dichiara: «Noi ci troviamo nella necessità di procedere facendo ora un passo a destra ed ora un passo a sinistra; ciò che conta è poter raggiungere i nostri obiettivi senza ingabbiarci in schemi precostituiti. (...) Alcuni ci chiedono perché non ci spieghiamo più chiaramente, ma credo che siamo già molto chiari. Qual è la nostra preoccupazione principale? Sono senza dubbio i lavoratori, gli operai, i contadini. Ritengo che non possa esservi definizione più chiara di questa».
Il tentativo del governo sandinista è quello di ribaltare il quadro economico neocoloniale, promuovendo una riforma agraria, sostenendo le iniziative cooperativistiche ed avviando urgenti interventi sociali, soprattutto contro l'analfabetismo e la disastrosa situazione sanitaria.
Nel contesto di un paese completamente devastato, la Giunta di ricostruzione prevede l'adozione del pluralismo politico, del non allineamento e dell'economia mista: prepara quindi un programma economico nel quale possano coesistere un settore statale (reso possibile dalla nazionalizzazione delle proprietà somoziste), uno misto ed uno privato.
Il pluralismo politico ed economico viene garantito proprio dalla formazione di una Giunta di governo che riunisce al proprio interno varie forze politiche e sociali; d'altro canto, l'unità nazionale è implicita nell'emanazione di un programma economico di trasformazioni che non prevede alcuna rottura con il sistema capitalista, anzi, fornisce numerose garanzie al capitale privato e subordina persino le rivendicazioni popolari ad obiettivi politici di concordia e di produttività.
L'unico settore investito dal processo rivoluzionario di confisca è quello della famiglia Somoza e dei suoi alleati, i cui beni vengono accorpati nella cosiddetta Area proprietà del popolo (App), che rappresentano il 23% della superficie agricola del paese. Il nuovo governo, quindi, redistribuisce le terre confiscate a circa sessantamila famiglie contadine; nazionalizza le banche private, le compagnie di assicurazione, il settore minerario, quello forestale e la pesca; istituisce anche una serie di enti pubblici per incrementare le principali produzioni e controllarne il relativo commercio.
Nel complesso, il governo sandinista intende attuare un'economia di tipo misto, la quale riesce ad incoraggiare con adeguati finanziamenti l'iniziativa privata, specie nei settori che fornicono beni destinati all'esportazione, pur nell'ambito di una accuratamente programmata regolamenta-zione statale.
Ma sin dai primi anni, le azioni di boicottaggio economico sono un'arma permanente nella politica di aggressione statunitense contro il Nicaragua. I programmi di destabilizzazione economica avviati soprattutto dal 1981 (con l'insediamento dell'amministrazione repubblicana di Ronald Reagan) vengono progettati ed attuati con lo scopo palese di impedire l'indipendenza economica e la realizzazione di progetti sociali che rafforzino il consenso interno, nonché di creare una sempre più alta tensione a causa delle ristrettezze economiche che conduca alla costituzione di un «fronte del malcontento» che costituisca un'opposizione interna al momento assolutamente inconsistente sia in termini di progetto politico che di adesione popolare.
Subito dopo il trionfo rivoluzionario, il Frente Sandinista de Liberación Nacional (Fsln) inizia anche a sviluppare un'opera di integrazione delle comunità della Costa Atlantica all'interno di un quadro di sviluppo integrale del paese. Sul piano economico, nazionalizza la maggior parte delle proprietà straniere ed incoraggia lo sviluppo dei progetti locali; riattiva alcune miniere, favorendo l'organizzazione dei lavoratori in associazioni sindacali.
Sin dal 1979, però, alcuni leaders religiosi ed alcuni capi delle comunità indigene della Costa Atlantica, iniziano a manifestare una certa ostilità nei confronti del governo rivoluzionario di Managua. L'inizio delle contestazioni nasce dall'esproprio di taluni territori che la Corona britannica assegna nei secoli precedenti ai miskitos. Occorre aggiungere che la mancanza di esperienza dei sandinisti nel trattare con gruppi etnici non coinvolti nel processo rivoluzionario, contribuisce in maniera notevole ad approfondire il divario con queste popolazioni, conducendo ad errori anche madornali nei loro confronti.
Se i posti chiave del governo e della pubblica amministrazione sono occupati dai leaders del Fsln, molti altri vengono affidati ad esponenti dell'opposizione tradizionale, come ad esempio i rappresentanti del clero cattolico e protestante. Dal canto suo, grazie alla popolarità ottenuta negli anni della lotta antisomozista ed ai suoi legami con la borghesia, Edén Pastora diviene viceministro della difesa e responsabile delle milizie popolari.
Subito dopo la liberazione, viene avviata una Campagna di alfabetizzazione di massa diretta dal ministro dell'educazione, il padre Fernando Cardenal: il 3 agosto 1980 numerosi studenti, per lo più giovanissimi, lasciano le città e raggiungono i piccoli centri sperduti sulle montagne, riuscendo in un solo anno ad abbassare l'analfabetismo al 12%. I vescovi pubblicano uno scritto in appoggio a questa Campagna di alfabetizzazione, purtroppo non esente da reticenze. Dal canto suo, in un discorso politico, Alfonso Robelo, membro della Giunta provvisoria di governo, denuncia questa «Crociata nazionale» come indottrinamento anticristiano.
Questa «Crociata» contro l'analfabetismo (che nelle campagne a volte supera il 90%), consente anche di raggiungere un altro scopo: indirizzare verso un obiettivo di grande significato politico e sociale le aspettative di un'enorme massa di giovani, provocando al contempo uno scambio culturale reciproco fra studenti e contadini.
Un altro grande merito della Campagna di alfabetizzazione è quello di avvicinare per la prima volta le popolazioni della Costa Atlantica a quella della costa del Pacifico, che si ignorano per secoli. L'alfabetizzazione in quest'area, infatti, avviene tenendo conto delle differenze linguistiche fra i vari gruppi etnici.
Già in questo periodo, però, inizia la guerra di aggressione fomentata dagli Stati Uniti, la quale avviene a vari livelli: sul piano economico con il boicottaggio delle espor-tazioni e con il blocco di tutte le possibilità di accesso ai crediti internazionali; sul piano militare con l'addestramento delle bande controrivoluzionarie dirette da ex somozisti; sul piano informativo attraverso campagne di stampa che presentano il nuovo Nicaragua come un paese totalitario completamente allineato all'Unione Sovietica; sul piano diplomatico con il rifiuto di qualsiasi proposta di negoziato presentata da vari organismi internazionali.
Un'altra grande iniziativa portata avanti dal nuovo governo sandinista è quella riguardante la grave problematica della salute: la creazione di una fitta rete di servizi sociali, inesistenti sino al 1979, e la riattivazione delle strutture sanitarie, assumono un valore primario. Le cosiddette «giornate popolari di salute» impegnano migliaia di studenti e di giovani volontari in un grande sforzo di educazione sanitaria, alimentare e di vaccinazioni di massa. Questa iniziativa riesce in breve tempo ad abbassare notevolmente sia la percentuale di denutrizione che quella delle malattie infantili. Purtroppo, ben presto anche nel settore sanitario si comincia ad avvertire pesantemente la guerra di aggressione.
Nel corso del suo primo anno di vita, il governo sandinista acquista un'incontestata legittimità presso le organizzazioni internazionali, avviando inoltre relazioni politico-diplomatiche con tutti i paesi del blocco sovietico, che negli anni seguenti aiutano notevolmente la Rivoluzione popolare sandinista, sia a livello economico che militare e politico.
Il nuovo governo si trova ben presto ad affrontare anche una grave crisi interna: già nel marzo del 1980 Violeta Barrios ed Alfonso Robelo lasciano la Giunta di ricostruzione, passando all'opposizione. Se ufficialmente le dimissioni di Violeta sono dettate da motivi di carattere personale, lo scopo di Robelo è quello di provocare una spaccatura definitiva fra imprenditori e Giunta di governo. Alcuni mesi dopo, se ne va dal paese ed entra, con incarichi direttivi, nelle fila controrivoluzionarie (dopo la sconfitta elettorale del Fsln nel 1990, viene nominato ambasciatore in Costa Rica).
Anche la politica di Carter, intanto, comincia ad irrigidirsi: viene concesso un credito di settantacinque milioni di dollari al Nicaragua, sottoposto a forti pressioni affinché venga investito nel settore privato. Gli Stati Uniti, del resto, sono in piena campagna elettorale e tutto lascia prevedere la possibilità dell'elezione di Ronald Reagan che, assieme al suo staff di consiglieri, esprime pubblicamente la propria profonda ostilità nei confronti del governo sandinista. Nel frattempo, al Congresso si svolgono accesi dibattiti, dove sono sempre più forti le posizioni tese a condizionare gli aiuti al Nicaragua.
Per evitare la rottura dell'unità antisomozista, il Fsln tenta di rendere compatibili le aspettative storiche della maggioranza del popolo nicaraguense con quelle dei vari settori della cosiddetta «borghesia patriottica», ossia di quelle frange disposte a collaborare con il neonato Stato rivoluzionario e di metterne alla prova il pluralismo.
L'applicazione del cosiddetto «Piano '80», che nasce da un accordo fra Fsln ed imprenditori privati, dà la priorità assoluta alla questione sociale, ossia al potenziamento dei servizi di base più direttamente legati ad un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. In questo senso, punta sia all'aumento della produzione (attraverso nuovi investimenti produttivi di carattere sociale) che alla difesa dei salari reali (attraverso una politica di controllo dei prezzi e di restringimento della forbice salariale entro limiti di equità). Ministro del lavoro sino al 1984, è l'avvocato Virgilio Godoy, presidente del Partito liberale indipendente (Pli).
Il «Piano '80» ha come obiettivo il raggiungimento di un incremento del Prodotto interno lordo (Pil) pari al 20%, che comporta la riattivazione dell'80% del settore agricolo, il 75% di quello industriale e la fissazione del tetto massimo dell'inflazione al 22% annuo. I risultati sono abbastanza soddisfacenti: il Pil cresce infatti del 18,5% ed il tasso d'inflazione si stabilizza sul 27%. Nel corso dei primi sei mesi dell'anno si assiste ad una discreta ripresa dell'agricoltura, della pesca e di buona parte dell'industria. Si riesce anche a mettere in moto un sistema di distribuzione dei prodotti di base, evitando in tal modo che la penuria alimentare si faccia sentire troppo pesantemente.
Però, uno dei maggiori successi a livello economico-sociale è senza dubbio quello della riduzione della disoccupazione, la quale scende sotto il limite storico del 17%: in un solo anno vengono infatti creati oltre centomila posti di lavoro, in buona parte nel settore terziario. Inoltre, viene consolidato il sistema finanziario e le riserve in valuta alla fine del 1980 ammontano a duecento mi-lioni di dollari, grazie soprattutto alla forte ripresa delle esportazioni tradizionali.
Inizialmente, il settore privato, il cui diritto all'esistenza non viene assolutamente mai messo in discussione, accetta di operare all'interno di un quadro che vede il commercio estero controllato direttamente dal governo e la nazionalizzazione del sistema bancario. Del resto, per tutto il decennio di governo sandinista, il 60% dell'economia nicaraguense si poggia sull'impresa privata e ben quaranta multinazionali continuano tranquillamente ad operare all'interno del contesto rivoluzionario.
Però, le prime contraddizioni cominciano ben pre-sto ad affiorare: la borghesia che partecipa alla lotta antisomozista non intende lasciare il potere al popolo e mira ad ottenere un ruolo di primo piano. Sin dal 14 novembre del 1979, la locale Confindustria, ossia il Consiglio superiore dell'impresa privata (Cosep), che al momento dell'offensiva finale organizza scioperi che paralizzano il paese, esprime pesanti riserve sul processo in corso. Così, sia il Cosep che la gerarchia cattolica criticano sempre più duramente il governo sandinista, attribuendogli intenzioni totalitarie: «sandino-comunisti», vengono definiti.
Il Nicaragua non è un paese socialista, tant'è che il «Piano '80» mira proprio a dare un nuovo impulso al capitalismo ed a creare un importante settore di proprietà e produzione statali (economia mista). I sandinisti, infatti, si rendono perfettamente conto di avere in mano l'occasione storica di poter costruire un nuovo sistema sociale (più che socialista), ma ciò che accade negli anni successivi dipende non solo dalle decisioni (giuste o sbagliate) assunte in loco, ma anche da quelle assunte in altri paesi e da altri governi.
Infatti, già nei giorni immediatamente successivi al trionfo rivoluzionario, lo stesso Anastasio Somoza raggruppa in Cenral Intelligence AgencyHonduras, ai confini del Nicaragua, un discreto numero di ufficiali e soldati della Guardia nacional. L'ex dittatore in persona fornisce i primi cinque milioni di dollari, mentre alcuni militari argentini reclutati dalla Cia ne assicurano l'addestramento: già nel 1980 un gruppo costituito da circa quattrocento uomini sferra dall'Honduras la sua prima offensiva militare controrivoluzionaria. Ma l'ex dittatore non ha alcuna intenzione di partecipare alla guerra: il 17 settembre, viene ucciso in Paraguay, dove si rifugia dopo la fuga da Managua.
In questo stesso periodo iniziano anche i primi seri contrasti fra il governo rivoluzionario ed i miskitos della Costa Atlantica, i quali non si identificano mai con i Somoza, ma neppure con il sandinismo.
L'intenso sfruttamento della Costa Atlantica, tramite l'utilizzo indiscriminato delle risorse naturali, conduce a grossi scompensi ecologici, mentre lo sfruttamento umano (altrettanto intenso) porta alla completa disgregazione delle tradizionali relazioni sociali ed a considerare i gruppi indigeni come una «razza inferiore», tanto che nel 1979 la regione caraibica è la più sottosviluppata ed arretrata del paese. Ciò nonostante, il completo controllo sia economico che psicologico, attuato tramite l'attività congiunta della Chiesa morava, del clero cattolico statunitense e delle varie compagnie minerarie e bananere, unitamente ad una notevole penetrazione specializzata di etnologi e linguisti delle università nordamericane, riesce a creare, soprattutto all'interno di una classe locale intermedia, un'immagine positiva dell'imperialismo statunitense, il quale viene presentato come «civilizzatore e benefico» nella sua funzione protettiva nei confronti della «barbarie» spagnola che occupa l'altra parte del paese. Il 1979 porta al crollo di questa situazione e ad una crisi che colpisce questa classe intermedia locale, la quale per vari decenni fa da tramite fra lo sfruttamento imperialista e la classe dominante spagnola.
Sul panorama storico della Costa Atlantica si innesta, infatti, la Rivoluzione popolare sandinista, con il suo progetto di riaffermazione dell'identità nazionale e la rivendicazione di una gestione autonoma del proprio destino, che matura attraverso una coscienza politica che si sviluppa in un'esperienza pluriennale di lotta. Purtroppo, non avendo perfettamente chiaro il quadro della situazione sociale e culturale di quest'area del paese, nei primi anni di governo i sandinisti tendono essenzialmente ad applicare alla Costa Atlantica gli schemi validi per la zona del Pacifico. Ciò crea una serie di forti incomprensioni ed acute tensioni, che vengono naturalmente strumentalizzate da una campagna di stampa abilmente orchestrata dall'amministrazione statunitense.
Dal canto suo, l'alta gerarchia cattolica, con alla testa Miguel Obando y Bravo, inizialmente saluta con un certo entusiasmo la fine della dittatura somozista, vedendo nella giovane rivoluzione sandinista una grande speranza per tutto il popolo. Del resto, questa è una posizione conseguente all'antisomozismo manifestato dalla Chiesa locale negli ultimi mesi della dittatura, ma soprattutto in linea con il forte impegno di numerosi credenti fra le file del Fsln. Inoltre, quattro sacerdoti sono ministri nel nuovo governo ed occupano posti-chiave come la cultura, l'educazione, i servizi sociali e gli esteri.
Però, già il 13 maggio del 1980, la Conferenza episcopale chiede il ritiro dei religiosi da tutte le cariche pubbliche all'interno del nuovo governo, dichiarando che l'iniziale stato di emergenza si è oramai concluso. Da questo momento in poi, le relazioni fra la gerarchia cattolica e lo Stato sandinista peggiorano sempre più. Inoltre, nel solo 1980 avvengono un centinaio di aggressioni armate di vario tipo contro il Nicaragua, tutte provenienti dal territorio honduregno.
Se il Fsln pubblica un documento nel quale riflette la propria posizione di fronte alla religione, nel quale parla di rispetto, libertà e simpatia, l'episcopato risponde con un comunicato molto critico. In questo periodo, infatti, hanno inizio le prime polemiche fra i gruppi cristiani di base e la gerarchia, mentre i rapporti Stato-Chiesa iniziano a raffreddarsi sempre più.
Il 26 maggio, la maggior parte dei redattori de La prensa, in disaccordo con la proprietà (Violeta Barrios), abbandonano il quotidiano e danno vita ad El nuevo diario. Fondata nel lontano 1926, durante la lotta di Augusto César Sandino, La prensa è per vari decenni lo strumento del Partito conservatore, tradizionalmente opposto al Partito liberale di Anastasio Somoza. I suoi fondatori, direttori ed editori sono membri dell'influente famiglia Chamorro, discendenti di presidenti conservatori del XIX secolo. Dopo la rottura fra la proprietà e buona parte del personale, viene abbondantemente aiutata da consiglieri della Sociedad interamericana de prensa (Sip), organizzazione conosciuta per il ruolo attivo nella crociata della Cia «contro il comunismo» e finanziata dall'organizzazione statunitense National endowement for democracy (Ned), pure questa legata alla Cia.
Nel 1981 nasce la Forza democratica nicaraguense (Fdn), creata e comandata dall'ex capo di stato maggiore della Guardia nacional ed addetto militare dell'ambasciata a Washington durante il somozismo, Enrique Bermúdez (detto: «3-80», dal numero di matricola). Un cugino di Somoza, ex direttore della Coca-Cola nicaraguense, Adolfo Calero, ne assume la direzione politica.
Nel 1981, gli attacchi militari della controrivoluzione (contra) sono soprattutto rivolti contro le cooperative agricole, le unità statali di produzione per la raccolta del caffè, del tabacco e del cotone, contro i centri di salute e le scuole. Colpiscono, quindi, i settori più importanti dell'economia e della vita sociale del paese.
Due anni dopo la vittoria rivoluzionaria sulla dittatura, quando il paese inizia già ad incamminarsi verso un graduale recupero dell'economia nazionale, nuovamente la lotta armata fa la propria comparsa nelle zone di frontiera, aumentando progressivamente negli anni successivi e causando nuove distruzioni alle infrastrutture ed alla struttura produttiva. A questo, dev'essere sommato il blocco economico e commerciale imposto dal governo degli Stati Uniti, il quale tenta in tal modo di far crescere il malcontento e l'opposizione interna al fine di giungere ad un mutamento politico antisandinista.
Il 9 settembre del 1981, data la situazione di aggressione, viene decretato lo stato di emergenza economico per un anno, con la conseguente sospensione del diritto di sciopero: è la prima di una serie di misure, forse inevitabili, che contribuiscono a creare quel «fronte del malcontento» tanto caro a Washington.
Grazie alla creazione di un'ampia serie di organizzazioni popolari e di massa, il Fsln si assicura rapidamente il controllo degli organi essenziali del potere: esercito, polizia, amministrazione pubblica, governo. In questo, però, commette il grave errore storico di confondere il partito e lo Stato, giungendo ad un vero e proprio connubio inestricabile, che negli anni successivi si trasforma in una potente arma per l'opposizione.
Ronald Reagan
Ronald Reagan
«Io, Ronald Reagan, presidente degli Stati Uniti d'America, constato che la politica e le azioni del governo del Nicaragua costituiscono una minaccia straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti e dichiaro con la presente uno stato di emergenza nazionale per far fronte a questa minaccia».


Ronald Reagan, maggio 1985 

«Il cancro da estirpare è il Nicaragua; possiamo aiutare quelle persone che chiedono di ottenere la libertà. Abbiamo il diritto di aiutare il popolo del Nicaragua che sta rivendicando quello che noi consideriamo come il diritto di qualsiasi popolo, il diritto di decidere sul proprio governo».


Ronald Reagan, 31 marzo 1986 

Due soli giorni dopo l'insediamento alla presidenza, Ronald Reagan blocca tutti gli aiuti destinati al Nicaragua, approva il finanziamento e l'addestramento degli ex somozisti che dall'Honduras hanno già costituito il primo nucleo della contra. Dal canto suo, Edén Pastora, responsabile della Milizia sandinista, lascia il Nicaragua e l'anno successivo rilascia una feroce dichiarazione contro il Frente Sandinista, sostenendo di essere lui e solo lui il vero ed unico erede degli ideali di Sandino e si dichiara in guerra con i «marxisti-leninisti» che comandano a Managua. Pochi anni dopo crea il gruppo controrivoluzionario Arde (Alleanza rivoluzionaria democratica), che attacca il paese dal Costa Rica, aprendo così un nuovo fronte di guerra al confine meridionale.
Ciò nonostante, il rispetto dei diritti umani da parte delle autorità sandiniste, è totale: con il trionfo rivoluzionario non avvengono atti di giustizia sommaria nei confronti dei somozisti: il 18 dicembre del 1979 i tribunali appositamente istituiti, iniziano a giudicare settemila somozisti. La Rivoluzione popolare sandinista rispetta la vita anche dei più crudeli e sanguinari carnefici della dittatura. Inoltre, uno dei primi atti della Rivoluzione popolare sandinista è l'abolizione della pena di morte e dell'ergastolo per qualunque reato; la detenzione massima prevista sono trent'anni di carcere.
Nel marzo del 1981, il Washington post riporta la notizia dell'esistenza in Florida di alcuni campi di addestramento per i contras.
Dal 20 gennaio del 1981, quando Ronald Reagan diviene presidente degli Stati Uniti, le relazioni fra i due paesi cominciano a peggiorare sensibilmente: il giorno successivo al suo insediamento nello studio ovale della Casa Bianca, sospende l'ultima trance del prestito concesso da Carter e soli tre mesi dopo, l'ex attore di Holliwood annuncia la sospensione di qualsiasi aiuto economico al Nicaragua e preme sugli organismi internazionali (Fondo monetario e Banca mondiale) affinché facciano altrettanto. Con la presidenza Reagan, gli Stati Uniti interrompono quindi il loro aiuto economico, impedendo persino alla Banca interamericana di sviluppo (Bid) ed al Fondo monetario internazionale di accordare ulteriori prestiti a Managua: il successo economico dell'esperienza sandinista, infatti, rafforzerebbe la sua legittimità di fronte agli altri paesi dell'istmo, rendendola un esempio politicamente ancor più pericoloso.
Nel mese di giugno, i vescovi lanciano un vero e proprio ultimatum ai sacerdoti che occupano cariche pubbliche, affinché le abbandonino. Ciò provoca grandi mobilitazioni popolari in appoggio ai preti-ministro ed anche alcuni teologi di fama mondiale prendono posizione in loro favore. Dal canto suo, Obando y Bravo intensifica i propri contatti con i gruppi dell'opposizione e si rivela sempre più contrario al processo rivoluzionario. Alcuni mesi dopo, il Vaticano stesso risolve provvisoriamente e pilatescamente la questione: i preti-ministro possono restare al loro posto, ma non celebrare la Messa.
Dal canto loro, i contras non sanno e non possono iniziare la loro lotta armata se non quando lo decide Ronald Reagan, nel momento in cui firma un ordine relativo alla «sicurezza nazionale degli Stati Uniti» (dicembre 1981), in virtù del quale autorizza il finanziamento e l'aiuto ai «combattenti della libertà».
Il 20 gennaio del 1982, il Costa Rica, l'Honduras ed El Salvador costituiscono la «comunità democratica centroamericana», in chiara opposizione a Managua.
Il 10 febbraio, diecimila miskitos vengono trasferiti dal río Coco a Tasba pri (Terra libera): la chiesa cattolica parla di «violazione dei diritti umani» ed il Segretario di Stato Alexander Haig mostra delle foto con indios asassinati, che però risalgono all'epoca somozista.
Il 29 ottobre del 1982, Neewsweek rivela che è l'ambasciatore statunitense in Honduras, John Negroponte, a dirigere le operazioni della Cia contro il Nicaragua.
Nello stesso anno, il governo statunitense inizia a finanziare l'organizzazione militare controrivoluzionaria che opera in Honduras. In dicembre Reagan stanzia diciannove milioni di dollari per le attività controrivoluzionarie: basi militari in Honduras e manovre congiunte con migliaia di soldati, uniti a forze aeree e navali, completano le «misure di prevenzione», dando luogo ad un vero e proprio assedio intimidatorio lungo la frontiera settentrionale e le coste del Nicaragua.
Il principale obiettivo della contra che attacca dall'Honduras (paese del tutto consenziente), consiste nel riuscire a conquistare una fetta di territorio nella zona di Jalapa, dichiararla «territorio liberato» e, dopo l'instaurazione di un governo provvisorio, chiedere l'intervento militare degli Stati Uniti.
In questo stesso periodo in Costa Rica nasce l'Alleanza rivoluzionaria democratica (Arde), secondo gruppo di opposizione armata che attacca il paese dal sud. Il suo capo è Edén Pastora, che poco tempo dopo viene rag-giunto da Alfonso Robelo. In seguito, alle fila dell'Arde si aggiunge anche l'ingegnere Alfredo César il quale, militante del Fsln dal 1978, sino al 1982 occupa la carica di presidente del Banco central de Nicaragua e collabora con il governo rivoluzionario.
Nello stesso periodo, il vescovo (poi cardinale) di Managua, Miguel Obando y Bravo, inizia a sostenere la tesi che i sandinisti stanno conducendo una politica intelligentemente camuffata, perseguendo obiettivi fondamentalmente antireligiosi: «credere che questa volta, qui in Nicaragua, i marxisti si comporteranno diversamente da come si comportano in altri paesi è un'illusione». Del resto, proprio per la sua influenza ideologica e la sua capacità organizzativa, la Chiesa è l'unica istituzione che può sfidare il Fsln nell'ambito della mobilitazione delle masse. L'alta gerarchia cattolica nicaraguense, conscia di ciò, si oppone frontalmente a tutti quei cristiani che partecipano attivamente al processo rivoluzionario, compresi i quattro preti-ministro.
Fra il 1975 ed il 1982 viene raddoppiato il numero delle scuole e pure le cifre del bilancio statale stanziate in questo settore aumentano notevolmente; purtroppo, già a partire dallo stesso 1982, a causa dei sempre più elevati costi per la difesa, debbono essere tagliate.
Come si è detto in precedenza, anche nell'ambito sanitario si fanno notevoli passi in avanti nella prevenzione di particolari malattie come la poliomielite, la malaria ed il dengue (diarrea emorragica), grazie a massicce campagne di vaccinazione ed informazione. Il numero dei medici procapite supera abbondantemente la media centroamericana. La mortalità infantile scende dal 10,9% del quinquennio 1970-1975 all'8,5% nel periodo 1980-1985. La spesa pubblica per la salute e l'assistenza sociale passa dal 6% al 13,8% nel 1981, ma a partire dal 1982 (sempre a causa della guerra di aggressione) scende nuovamente al 10%.
Quando nel 1982 il governo nicaraguense mette in discussione l'accordo stipulato l'anno precedente con la United fruit company, accusandola di sabotare le vendite e le esportazioni, l'amministrazione Reagan afferma che ci si trova oramai di fronte ad un governo contrario ad ogni dialogo, incamminato verso il totalitarismo. Ad avvallare ulteriormente questa posizione della Casa Bianca contribuiscono alcuni provvedimenti restrittivi: il 14 marzo del 1982 viene infatti decretato lo stato di emergenza nazionale e viene introdotta la censura sulla stampa.
Come si è detto in precedenza, durante l'epoca coloniale l'economia nicaraguense si basa quasi esclusivamente sull'allevamento di bestiame destinato a tutto il Centro-America; solo in minima parte si coltivano le terre del versante del Pacifico, soprattutto per la produzione dei prodotti di base per l'alimentazione (mais, riso e fagioli). In seguito, nella seconda metà del XIX secolo viene introdotta la coltivazione del caffè, la quale occupa le terre destinate alla produzione di base. L'esportazione di questo prodotto porta grandi benefici specialmente durante il periodo di Santos Zelaya, introducendo il Nicaragua nei circuiti commerciali internazionali e producendo quelle risorse economiche necessarie per modernizzare il paese. Al tempo stesso nasce una nuova borghesia capitalista, sostenuta soprattutto da stranieri: tedeschi, francesi e nordamericani.
Negli Anni Sessanta, durante la dittatura somozista, le entrate derivanti dal caffè superano il 60% del valore di tutte le esportazioni. Ma già negli Anni Cinquanta viene introdotta la coltivazione del cotone, il quale poco per volta soppianta il caffè come primo prodotto d'esportazione: coltivato in grandi piantagioni nel nord-ovest della zona del Pacifico, contribuisce notevolmente ad accentuare sempre più le differenze fra questa regione e le restanti; in essa si concentra, infatti, la maggior parte degli investimenti destinati a migliorare l'infrastruttura dei trasporti e delle vie di comunicazione. Nel 1976, la coltivazione del cotone occupa l'80% delle terre coltivate nella regione del Pacifico e richiama lavoratori stagionali persino dagli altri paesi centroamericani, soprattutto salvadoregni ed honduregni.
Tanto il governo (naturalmente Somoza ha grossi interessi in questo settore) quanto le banche, sostengono e finanziano abbondantemente l'agricoltura d'esportazione, aumentando in tal modo la dipendenza dell'economia nazionale dai mercati internazionali, accentuandone in tal modo la già alta vulnerabilità. Per questo motivo, il governo sandinista stabilisce, fra i suoi obiettivi primari, la sostituzione del modello agroesportatore con uno di crescita economica che, pur senza disdegnare i tradizionali prodotti d'esportazione, si possa maggiormente diversificare: ciò, nelle intenzioni, è di fondamentale importanza per rendere l'economia nazionale meno dipendente dai mutamenti di prezzo di caffè, zucchero e cotone sui mercati internazionali (stabiliti dalla Borsa merci di New York).
Però, i danni causati dalla guerra di aggressione assommano a quasi il 50% del valore delle esportazioni e l'iniziale progetto di abbandono graduale del modello agroesportatore lascia necessariamente il passo all'esigenza di sfamare la popolazione: caffè, zucchero e cotone continuano ad essere, pertanto, la fonte principale di valuta pregiata.
Il 20 marzo del 1983 a Tegucigalpa, i contras formano una giunta di governo composta da Edén Pastora, Alfonso Robelo e l'ex colonnello somozista Enrique Bermúdez. Nello stesso mese, oltre cinquecentomila persone assistono alla Messa celebrata dal papa durante la sua visita in Nicaragua, paese nel quale «fra cristianesimo e rivoluzione non v'è contraddizione». Lo accolgono con uno striscione sul quale è scritto: «Benvenuto Giovanni Paolo II nel Nicaragua libero per volontà di Dio e della Rivoluzione». Il Pontefice si rifiuta di incontrare i sacerdoti-ministro (peraltro sospesi ad divinis da una gerarchia sempre meno disposta al dialogo) e nel corso della cerimonia, molte madri chiedono al Santo Padre di pregare per i caduti, uccisi il giorno precedente dalla contra.
Non solo rifiuta questo semplice gesto cristiano, ma più volte impone ai fedeli di tacere. Non a caso, il Pontefice sceglie come cardinale primate del Nicaragua proprio la principale figura di opposizione al governo sandinista, Obando y Bravo che, infatti, mantiene relazioni pubbliche e quasi esclusive con i partiti politici di opposizione, con il settore imprenditoriale, con i capi della contra e con l'amministrazione statunitense. Non è irrilevante notare che è proprio dopo la sua visita «pastorale» che inizia a farsi più violenta l'aggressione militare contro il paese.
«Il caso del Nicaragua, con il fallimento della visita del papa e la cattiva situazione dei rapporti dell'episcopato nicaraguense con le autorità sandiniste, mostra l'inesperienza del modello romano di fronte a processi rivoluzionari, anche quando questi, come nel caso del Nicaragua, contano sulla partecipazione significativa dei cristiani. La politica vaticana è profondamente antirivoluzionaria, anticomunista ed antipopolare. Il popolo è solo beneficiario, mai soggetto di una trasformazione valida. La sua strategia è populista (...)».


Leonardo Boff

Il 5 giugno, il Nicaragua espelle tre diplomatici statunitensi coinvolti in un piano per avvelenare il ministro degli esteri Miguel D'Escoto. Dal canto suo, Washington risponde con la chiusura di tutti i consolati nicaraguensi negli Stati Uniti. Il 21 luglio, Reagan dichiara che «l'esistenza di un governo sandinista in Nicaragua non è ammissibile». Per lui, che si consiglia sempre con l'astrologa di fiducia, i circa tre milioni di nicaraguensi sono una vera e propria minaccia per la stabilità degli Stati Uniti, i quali hanno una popolazione ed un territorio (oltre naturalmente ad un apparato militare ed economico) ben superiore a quello di questo piccolo paese centroamericano. Ma il senso del ridicolo non sfiora né lui, né nessun altro presidente statunitense nel corso dei secoli.
Nell'agosto di questo stesso anno, viene istituito il Servizio militare patriottico (Smp), evento che provoca una violenta reazione da parte della gerarchia cattolica: in una «carta pastoral» i vescovi rivendicano il diritto all'obiezione di coscienza, dato che, secondo loro, i giovani vengono chiamati a difendere il Fsln e non il paese.
Se da un lato è vero che qualsiasi esercito è sempre, in un modo o nell'altro, «politico», in quanto difende e sostiene un ben determinato progetto di dominazione sociale, nel caso del Nicaragua non si tratta però di una formazione militare di partito, quanto piuttosto di un esercito nazionale che riconosce come proprio il contenuto storico-politico della Rivoluzione popolare sandinista. In realtà, il problema fondamentale è che la borghesia nicaraguense, sin dal giorno del trionfo rivoluzionario, è assolutamente sprovvista di qualsiasi forma di potere militare, dato che l'Eps (Esercito popolare sandinista) viene creato essenzialmente sulla base dei combattenti storici del Fsln, il che la lascia completamente disarmata di fronte al potere popolare delle varie organizzazioni di massa sparse per tutto il territorio nazionale. Il Servizio militare patriottico (Smp), pertanto, si inquadra all'interno dell'Eps e l'equazione «Eps = Smp = Fsln» è sin troppo facile.
La Casa Bianca, in realtà, considera la questione dell'America Centrale in generale e del Nicaragua in specifico, come una sfida soprattutto ideologica (più che economica e strategica) che rischia di mettere in discussione la propria storica egemonia su questa parte del continente (riconosciuta esplicitamente dall'Urss con gli accordi di Yalta). Così, l'8 settembre del 1983 due bombardieri, forniti direttamente dalla Cia, bombardano l'aeroporto di Managua.
In questo stesso anno, non riuscendo a realizzare i propri obiettivi iniziali, la contra abbandona il progetto di conquistare una parte (per quanto piccola) di territorio e dà inizio a quello che viene definita «low intensity conflict (guerra di bassa intensità)», ossia di lento e costante logoramento. Il 1° dicembre, il governo emana un decreto di amnistia per i miskitos e per i contras che depongono le armi.
La rivoluzione nicaraguense rappresenta uno stimolo per la presa di coscienza che coinvolge i paesi dell'America Latina rispetto al problema dell'autodeterminazione. Le prime fasi di questo processo sono costituite dalla formazione del Gruppo di Contadora nel 1983 (Messico, Colombia, Venezuela e Panamá), ai quali si aggiunge nel 1986 il Gruppo di appoggio (Perú, Brasile, Argentina, Uruguay).
Nella stessa direzione si muove il tentativo dei paesi centroamericani di raggiungere una sorta di base comune per quanto riguarda gli interessi nell'area. Nonostante le profonde differenze politiche e sociali fra i cinque paesi, questa esigenza viene sentita in maniera più o meno profonda da tutti. Si arriva perciò ad una serie di colloqui ed incontri (vertici fra i presidenti) che dal 1984 proseguono sino ad oggi, nella continua ricerca di un equilibrio fra interessi nazionali ed esigenze comuni.
Si può comunque affermare con sicurezza che il progetto globale creato e finanziato dagli Stati Uniti è completamente fallito, sia per l'impossibilità della contra di essere vincente di fronte ad un popolo che combatte per la propria autodifesa, sia perché la contra stessa non ha alcun appoggio popolare. Ma, se a livello militare gli Stati Uniti escono decisamente sconfitti, riescono però ad ottenere un'inaspettata vittoria sul terreno «politico», con le elezioni del 25 febbraio 1990.
Il Gruppo di Contadora, creato all'inizio di gennaio del 1983, cerca di giungere alla negoziazione dei conflitti centroamericani sulla base del rispetto dell'indipendenza dei paesi interessati; ma questo progetto si scontra frontalmente con la mancata disponibilità del governo di Washington, preoccupato del mantenimento del controllo politico sull'area.
Il cronico immobilismo dell'Organizzazione degli stati americani (Osa) e l'evidente incapacità dell'Onu di trovare una soluzione pacifica ai conflitti centroamericani, sono l'origine della creazione di questo gruppo. Definendosi come un'alternativa alla politica aggressiva dell'amministrazione Reagan nel confronti dell'America Centrale, Contadora afferma infatti che la causa principale dei problemi dell'istmo e la loro rivoluzione deve essere un semplice fattore interno. Per cui il suo obiettivo è quello di giungere ad una soluzione negoziata, partendo dal dialogo fra le varie parti in lotta.
Naturalmente, la reazione statunitense non si fa attendere: la strategia di Washington è del tutto inconciliabile con qualsiasi tentativo di pacificazione che possa condurre, direttamente od indirettamente, ad una legittimazione del governo sandinista di Managua.
Ciò nonostante, il 10 settembre dello stesso anno, i ministri degli esteri dei cinque paesi centroamericani sottoscrivono un accordo di principio per una soluzione negoziata e l'8 gennaio del 1984 firmano una piattaforma di obiettivi. Per la prima volta nella sua storia, l'America Latina riesce a concretizzare una serie di accordi diplomatici senza (e soprattutto contro) l'intervento degli Stati Uniti. Sia il Gruppo di Contadora che quello di Appoggio tentano, infatti, di mediare, attraverso un negoziato, il conflitto nella regione centroamericana, ottenendo un primo «successo»: il 6 agosto del 1984, infatti, il governo nicaraguense revoca parzialmente lo stato di emergenza.
Dopo venti mesi di trattative, nel settembre del 1984 il Nicaragua accetta l'accordo senza alcuna riserva o modifica; ma l'amministrazione Reagan si oppone ed ottiene che El Salvador, Honduras e Costa Rica propongano alcune modifiche. In tal modo riescono a bloccare momentaneamente il processo di pace.
Nel frattempo, fra il 1983 e l'inizio del 1984, la Cia pianifica una serie di operazioni militari contro il Nicaragua: la più importante è senza dubbio il minamento dei principali porti del paese (aprile) ed il costante uso di aerei-spia che ne sorvolano il territorio.
Nel febbraio del 1984 il governo sandinista annuncia lo svolgimento di elezioni, ma la Casa Bianca dichiara che queste «non si svolgeranno liberamente». Il Coordinamento democratico nicaraguense (Cdn), costituito dall'unione di tre partiti, dal Cosep e da un paio di sindacati di opposizione, annuncia inizialmente la propria intenzione di parteciparvi, ma poi vi rinuncia dietro evidenti pressioni da parte di Washington, che intende delegittimare l'appuntamento elettorale nicaraguense.
Il finanziamento ufficiale, devoluto dagli Stati Uniti alla contra, che sferra i propri attacchi dal Costa Rica ed in special modo dall'Honduras, si interrompe però nella primavera del 1984, quando il Congresso rifiuta di destinare in tal senso ventun milioni di dollari a causa dello scandalo provocato proprio dall'operazione di minamento dei porti nicaraguensi nell'aprile dello stesso anno ad opera della Cia. Lo stesso Congresso, inoltre, approva una legge che vieta alla Cia di continuare a fornire il proprio sostegno all'opposizione armata nicaraguense.
Il 1° maggio del 1985 la Casa Bianca vara l'embargo commerciale contro Managua ed impedisce (con il veto) una risoluzione dell'Onu per abolirlo.
Il 12 giugno, Alfonso Robelo, Arturo Cruz ed Adolfo Calero riuniscono i contras nell'Unione nicaraguense di opposizione (Uno).
Nei primi giorni del mese di novembre del 1984 si svolgono le prime libere elezioni (con la presenza di oltre quattrocento osservatori stranieri), pur in un clima di blocco economico e di guerra. Il 74% della popolazione si reca alle urne ed il Fsln ottiene il 67% dei suffragi: Daniel Ortega viene eletto presidente della Repubblica e Sergio Ramírez vicepresidente. In lizza vi sono ben sette partiti di opposizione, ma a pochi giorni dal voto (premuti da Washington), si spaccano fra astensionisti e partecipazionisti. Il Fsln ottiene all'Assemblea nazionale sessantun seggi su novantadue e la regolarità degli scrutinî viene attestata da alcune centinaia di osservatori internazionali. Ciò nonostante, il governo di Washington prosegue i propri attacchi diretti ed indiretti contro il Nicaragua.
Di fronte ai costi materiali, conseguenti all'aggressione contro la propria sovranità e la propria libera determinazione, il governo del Nicaragua decide di ricorrere (il 9 aprile 1984) alla Corte di giustizia dell'Aja. Dopo due anni (il 27 giugno 1986), questo organismo internazionale emette la propria sentenza, condannando la politica estera degli Stati Uniti e fissando persino un indennizzo di diciassette miliardi di dollari da versare al governo del Nicaragua per i danni subiti. Inoltre, questa sentenza stabilisce che in questo paese non è in corso una guerra civile, bensì un palese attacco condotto da una potenza straniera nei confronti di una nazione sovrana. Naturalmente, il governo nordamericano rifiuta di accettare questa forte sentenza di condanna.
Del resto, già il 21 febbraio 1985 lo stesso Reagan dichiara che il suo obiettivo è il «rovesciamento puro e semplice dei sandinisti». È in questa occasione che si crea il cosiddetto Grupo de apoyo, il quale, oltre a segnare l'emergere di una chiara volontà latinoamericana contraria all'egemonia statunitense, nell'agosto del 1985 consente di rilanciare la dinamica della pace, in un momento nel quale le tensioni si concentrano in modo pericoloso sulla frontiera fra Honduras e Nicaragua.
Se fra il 1980 ed il 1981 si riescono ad ottenere alti tassi di crescita economica (sebbene inferiori al previsto), già nel 1982 si rende necessario un riaggiustamento, attraverso una forte restrizione delle importazioni; il che ha come conseguenza un forte impatto recessivo. Fra le cause della crisi del periodo compreso fra il 1982 ed il 1985, vi sono senza dubbio i danni ed il dirottamento di risorse sempre più ingenti nel settore della difesa, a causa della guerra di aggressione, la quale si intensifica a partire dal 1983. Ma anche la recessione in tutta l'area centroamericana ed il sempre più rapido deterioramento dei termini di scambio internazionali hanno il loro peso. Infine, il blocco commerciale imposto dalla Casa Bianca nel 1985, dà il colpo di grazia all'economia del paese.
In Nicaragua, i sandinisti cercano di costruire una nuova società e nei primi cinque anni di governo, successi, minacce e difficoltà vengono condivisi dalla grande maggioranza della popolazione. Ma nel mese di maggio del 1985, il governo statunitense irrigidisce ulteriormente il blocco economico e commerciale, che contribuisce notevolmente allo strangolamento del paese. Così, anche i rapporti politici e sociali interni, verso la metà degli Anni Ottanta, iniziano a diventare sempre più difficili: la situazione bellica, infatti, impone di utilizzare la maggior parte delle risorse, sia umane che economiche, per la difesa del paese; il che provoca inevitabilmente un rallentamento nel processo di costruzione sia della nuova società che dell'«uomo nuovo».
Il primo atto pubblico compiuto da Miguel Obando y Bravo è decisamente emblematico: il 13 giugno 1985, a Miami, celebra una Messa alla presenza di numerosi esuli cubani e nicaraguensi; fra i «fedeli» vi sono anche Edén Pastora ed Adolfo Calero, capi delle due organizzazioni controrivoluzionarie che attaccano costantemente il Nicaragua sia dalla frontiera settentrionale che da quella meridionale. Il tema dell'omelia del cardinale è la «riconciliazione nazionale», la quale si deve realizzare attraverso il «dialogo» con la contra ed all'unica condizione che i sandinisti abbandonino il loro programma rivoluzionario.
Nel 1985 e nel 1986, la contraerea dell'Esercito popolare sandinista (Eps) abbatte un elicottero ed un aereo, carichi di armi per i contras: in entrambe le occasioni, a bordo v'è personale statunitense.
Il 1° gennaio del 1986 viene chiusa Radio católica, voce del cardinale Obando y Bravo (che di fatto è il capo dell'opposizione), colpevole di non aver trasmesso il discorso di fine anno di Daniel Ortega. Alcuni mesi dopo, anche La prensa è costretta a sospendere le pubblicazioni, a causa dell'aperto sostegno all'approvazione del finanziamento statunitense alla contra (cento milioni di dollari). In una situazione di guerra, il diritto al dissenso non può certamente essere confuso con un'aperta posizione di sostegno alle azioni controrivoluzionarie, né con il fatto di divenire portavoce degli interessi di una potenza straniera che aggredisce economicamente e militarmente il paese. Così, il 26 giugno del 1986, il giorno dopo lo stanziamento milionario ai contras, questo quotidiano viene chiuso e riapre solamente dopo un anno e tre mesi.
L'11 febbraio del 1986 i ministri dei paesi membri di Contadora e del Grupo de apoyo si recano a Washington, ma il presidente statunitense si rifiuta di riceverli. Intanto, sin dallo stesso mese di febbraio inizia in tutto il paese la discussione sulla nuova Costituzione politica, la quale riafferma con forza i principî di base della Rivoluzione popolare sandinista: pluralismo politico e religioso, economia mista, democrazia partecipativa e non-allineamento.
Il 16 maggio dello stesso anno, Edén Pastora, dopo un attentato organizzato dalla Cia, si ritira dalla lotta armata.
Il 25 giugno il Congresso statunitense approva lo stanziamento di centodieci milioni di dollari per i contras, che vengono gestiti dalla Cia. Ma il 4 novembre scoppia lo scandalo Iran-gate: per riallacciare i rapporti con gli ambienti iraniani moderati ed ottenere la liberazione degli ostaggi trattenuti dagli estremisti sciiti, gli Stati Uniti accettano di vendere armi a Teheran. Il secondo scandalo (contras-gate) scoppia il 26 successivo: con i profitti ricavati dalla vendita clandestina viene finanziata segretamente la contra, scavalcando in tal modo le decisioni del Congresso. L'amministrazione Reagan, intenzionata a sostenere a tutti i costi i contras, nonostante i divieti imposti dal Congresso (con l'emendamento Boland del 1983, reso più restrittivo nel 1985), mette in moto una complessa operazione di vendita di armi e trasferimenti finanziari. Si tratta di una triangolazione che coinvolge i governi di Washington, Tel Aviv e Teheran, per giungere infine alla contra: dalle indagini svolte dal Congresso stesso, emerge infatti che la Casa Bianca, con la complicità di Israele, fornisce armi ad un paese considerato ufficialmente «nemico e terrorista», utilizzando poi il ricavato della vendita per sostenere i contras. Questo scandalo, inoltre, infligge un duro colpo all'immagine dell'Unione nicaraguense di opposizione (Uno), mettendo allo scoperto l'alto livello di corruzione che regna all'interno della dirigenza controrivoluzionaria: dei 16,5 milioni di dollari ottenuti, solamente 3,8 giungono realmente ai «combattenti per la libertà», gli altri finiscono sui conti correnti personali dei capi controrivoluzionari.
Il 9 gennaio del 1987 viene promulgata la nuova Costituzione, dopo una lunga discussione con tutta la popolazione, con le forze politiche, sociali ed economiche.
Nel frattempo, vari piani di pace vengono avanzati da altri paesi centro e latinoamericani, sinché il presidente costaricano Oscar Arias riesce a far accettare una sua proposta ai paesi dell'area. Così, nell'agosto del 1987 i cinque presidenti si riuniscono per discutere questo piano di pace (noto come Esquipulas II) che il giorno 7, nonostante le forti pressioni di Reagan, viene sottoscritto. L'installazione sul territorio costaricano di basi dalle quali i controrivoluzionari possono agevolmente attaccare il Nicaragua, rappresenta un vero e proprio pericolo, poiché si può giungere ad un conflitto armato e persino alla destabilizzazione del Costa Rica. Perciò, Arias ritiene che la soluzione dei conflitti che insanguinano l'istmo (Guatemala, El Salvador e Nicaragua) non può essere costituita da una soluzione militare, ma solamente dal negoziato. In questo piano, infatti, si insiste soprattutto sul rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale di tutte le nazioni interessate.
Il 22 settembre del 1987 viene abolita la censura ed il 1° ottobre successivo riapre il «braccio politico dei contras»: La prensa; poco tempo dopo, anche Radio católica riprende le trasmissioni. Al contempo, prende il via il dialogo fra il governo ed i vari partiti di opposizione.
Nello stesso anno il governo sandinista istituisce una Commissione di riconciliazione nazionale, la cui presidenza viene affdata a Miguel Obando y Bravo, acerrimo nemico della rivoluzione. Fra il 1988 ed il 1989, due accordi di tregua risultano del tutto effimeri, poiché non vengono assolutamente rispettati dai contras. Il Fsln, a questo punto, si vede praticamente obbligato ad assumere una serie di misure unilaterali tese ad isolarli e ad avviare un processo di distensione con la nuova presidenza statunitense di George Bush (vice di Reagan nei precedenti otto anni ed ex capo della Cia negli Anni Settanta).
Nonostante gli errori iniziali dei sandinisti, dall'inizio del 1987 in poi, i rapporti con le popolazioni della Costa Atlantica iniziano lentamente a normalizzarsi. Il 12 settembre di questo stesso anno viene, infatti, ratificata la legge di autonomia delle comunità indigene, la quale costituisce un precedente di enorme importanza per tutta l'America Latina. Da questo momento, infatti, i gruppi indigeni del Nicaragua sono l'unica popolazione autoctona del continente a godere di diritti costituzionali.
Nel testo dello Statuto dell'autonomia
delle regioni della Costa Atlantica si legge fra l'altro: 
«Il presidente della Repubblica fa sapere al popolo nicaraguense che
«l'Assemblea nazionale della Repubblica del Nicaragua, considerando:
«Che in America Latina ed in altre regioni del mondo, le popolazioni indigene, sottomesse ad un processo di impoverimento, segregazione, emarginazione, assimilazione, oppressione, sfruttamento e sterminio, esigono una profonda trasformazione d'ordine politico, econo-mico e culturale per il raggiungimento effettivo delle loro istanze ed aspirazioni. (...)
«Che la lotta rivoluzionaria del popolo nicaraguense per costruire una nazione nuova, multetnica, pluriculturale e multilingue, basata sulla democrazia, il pluralismo e l'eliminazione dello sfruttamento sociale e dell'oppressione in tutte le sue forme, richiede l'istituzionalizzazione del processo di Autonomia delle comunità della Costa Atlantica del Nicaragua contemporaneamente al riconoscimento dei diritti politici, economici, sociali e culturali dei suoi abitanti; garantisce l'eguaglianza nella diversità; rafforza l'unità nazionale e l'integrità territoriale della nazione; approfondisce i principî democratici della Rivoluzione e sconvolge nei suoi aspetti più profondi l'essenza stessa della società dipendente e sfruttatrice che ci ha lasciato in eredità il passato. (...)»
Già nel 1988, l'incapacità dei contras di imporsi sul terreno militare ed il rifiuto del Congresso statunitense di continuare a fornirgli armi e denaro, li costringono a sedersi al tavolo delle trattative ed a firmare un accordo per il cessate il fuoco. Nel mese di marzo, a Sapoá (nei pressi della frontiera con il Costa Rica) adempiendo agli accordi sottoscritti l'anno precedente ad Esquipulas, il governo sandinista inizia infatti una serie di «conversazioni» con i dirigenti delle forze controrivoluzionarie, con lo scopo di raggiungere un accordo di pace. Si riesce, infatti, ad ottenere un temporaneo accordo per il «cessate il fuoco», il quale lascia intravedere una possibile futura pace definitiva.
Nel testo degli accordi sottoscritti a Sapoá il 23 marzo 1988, si legge fra l'altro:
«Il governo del Nicaragua e la resistenza nicaraguense (...) sono pervenuti al seguente accordo:
«Cessare le operazioni militari offensive in tutto il territorio nazionale per sessanta giorni a partire dal 1° aprile; in questo periodo si discuterà della cessazione del fuoco definitiva (...).
«Il governo del Nicaragua decreterà un'amnistia generale nei confronti dei condannati per violazione della legge sul mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica e dei membri dell'esercito del regime anteriore per i delitti commessi prima del 19 luglio 1979. (...)
«Il governo del Nicaragua garantirà la libertà di espressione senza restrizioni, così come questa è contemplata negli accordi di Esquipulas II.


«Si garantisce che tutte le persone che abbiano abbandonato il paese, possono rientrare in Nicaragua ed inserirsi nei processi politico, economico e sociale, senza alcun tipo di condizionamento (...). Non saranno giudicati o perseguitati per le attività di carattere politico-militare che avessero svolto. (...)» 

L'11 luglio del 1988 il governo nicaraguense espelle l'ambasciatore statunitense Richard Melton ed altri membri del suo staff, che il giorno prima dirigono una manifestazione antigovernativa a Nandaime. Contemporaneamente sospendono nuovamente La prensa e Radio católica per un paio di settimane. Dal canto suo, per rappresaglia la Casa Bianca espelle l'ambasciatore nicaraguense Carlos Tünnermann.
Però, nonostante i sandinisti sappiano conservare una grossa fetta di consenso popolare, l'economia del paese appare oramai in via di completa distruzione a causa della guerra e del blocco economico: fra il 1987 ed il 1989, infatti, la crisi economica fa sentire sempre più pesantemente i suoi effetti. Neppure la riforma monetaria del febbraio 1988 (unitamente ad una serie di misure prettamente fondomonetariste) riesce a risollevare le sorti di un'economia oramai allo stremo e l'uragano Juana, nel mese di ottobre, dà il colpo di grazia ad ogni tentativo di porre un freno all'inflazione: questo disastro naturale attraversa tutto il paese, passando dall'Atlantico al Pacifico e causando danni materiali per oltre ottocento milioni di dollari. Così, all'interno del paese, intanto, il governo di Washington gioca sempre più la carta dell'opposizione interna, tentando di coagulare in una sola organizzazione tutti i partiti di opposizione al Fsln.
Per unificarla, non si bada a spese: la Cia fa arrivare cinque milioni di dollari, attraverso il presidente venezuelano; la Fondazione nazionale per la democrazia «dona» tre milioni e mezzo di dollari; un altro mezzo milione di dollari viene versato direttamente alla Uno tramite l'impresa Cypsa, il cui gerente è l'amministratore delle finanze di un gruppo «civico» del Nicaragua. Considerato che gli elettori sono meno di due milioni, l'investimento statunitense (almeno quello noto) è di circa cinque dollari a persona, neonati compresi.
In questo momento, solamente il 20,7% del Prodotto interno lordo (Pil) proviene dall'agricoltura e dall'allevamento, il 27,7% dall'industria (alimentare e chimica soprattutto) ed il 51,6% dal commercio e da altre attività del terziario. L'anno si chiude con un'inflazione del 1.600% e con il prezzo internazionale della principale merce d'esportazione, il caffè, sempre più basso.
Nel mese di marzo del 1989, il governo nicaraguense libera quasi duemila contras ed alcuni ex somozisti detenuti nelle carceri del paese.
Le elezioni del 1990 (previste per il mese di novembre) vengono anticipate al 25 febbraio, quando, almeno virtualmente, sia l'esercito nicaraguense che la politica diplomatica del governo sandinista hanno già sconfitto militarmente la contra. Ma il paese si trova oramai al bordo del collasso economico.
L'immagine elettorale della candidata antisandinista viene costruita con cura: Violeta Barrios diviene la «Cory Aquino dei Caraibi», vedova di un martire antisomozista, disponibile ad un populismo all'ingrosso ed ampiamente sprovveduta a livello politico, ma sempre sensibile agli autorevoli «suggerimenti» statunitensi.
I dirigenti del cartello composto dai partiti di opposizione (Uno) addebitano le difficoltà economiche esclusivamente alla cattiva dirigenza «sandino-comunista»; ma, in realtà, le pressioni esterne non lasciano molto spazio allo sviluppo dell'iniziale modello pluralista sia in campo politico-religioso che economico. Occorre, però, rilevare che, sin dall'inizio, esiste una forte contraddizione fra il pluralismo politico ed il concetto di «partito-avanguardia» che il Fsln adotta per autodefinirsi. Ciò conduce, inevitabilmente, ad una serie di profonde incomprensioni con gli altri settori politici del paese.
Nei primi giorni del mese di gennaio, a poche settimane dalle elezioni, riprendono con una violenza inaudita gli scontri fra l'Eps ed i contras (oramai definiti comunemente «Resistencia nicaragüense»), tanto che si contano almeno una quindicina di morti. Un gruppo di contras, la sera del 1° gennaio, in una sperduta località della Costa Atlantica, uccide due suore e ferisce il vescovo Paul Smith, considerato l'unico prelato nicaraguense ad opporsi alla politica antisandinista di Obando y Bravo. Ciò nonostante, alla fine dello stesso mese, il governo annuncia la liberazione degli ultimi mille contras ancora detenuti nelle carceri del paese e degli ultimi trentanove ex pretoriani di Somoza (Guardia nacional), responsabili di atroci massacri durante il regime dittatoriale: fra loro vi sono gli assassini di Carlos Fonseca ed i torturatori di Tomás Borge, unico sopravvissuto fra i fondatori del Fsln.
Oltre tremila osservatori internazionali, fra i quali l'ex presidente statunitense Jimmy Carter, giungono a Managua con compiti di vigilanza, affiancati da circa duemila giornalisti provenienti da tutto il modo. Tutti testimoniano la correttezza del processo elettorale gestito dal Frente Sandinista. Fra i candidati della Uno, sia per l'Assemblea nazionale che per i vari consigli comunali, vi sono numerosi ex notabili del somozismo, vari ex dirigenti della contra ed addirittura una quindicina di ex membri della Guardia nacional. Secondo i sondaggi più attendibili, il Fsln è dato al 53%, mentre la Uno al 35%.
La manifestazione di chiusura della campagna elettorale della Uno, il 18 febbraio, vede la partecipazione di circa quarantamila persone. Accanto alla candidata vi sono anche alcuni ex deputati somozisti che nel 1978 vengono sequestrati all'interno del Palazzo nazionale. I cavalli di battaglia della coalizione antisandinista sono l'abolizione del Servizio militare patriottico, la promessa di un sostanziale mutamento economico che garantisca la piena occupazione, il controllo dell'inflazione e, naturalmente, la difesa della proprietà privata. Un altro punto forte di questo programma, sono le riforme costituzionali, che un peso rilevante assumono negli anni seguenti: «Definire meglio la separazione dei poteri dello Stato e fra Stato e partito; la restrizione dei poteri del presidente della Repubblica, impedendone la rieleggibilità; la neutralità e la riduzione delle forze armate; la creazione di una corte costituzionale».
Il 21 successivo, la manifestazione di chiusura della campagna elettorale del Fsln vede la partecipazione di oltre mezzo milione di persone e Daniel, fra l'altro, afferma: «All'indomani di queste elezioni, perdoneremo sia ai somozisti che ai contras l'impagabile debito che hanno con questo popolo». Ed aggiunge: «noi non vogliamo né un modello comunista, né un modello capitalista, ma sandinista e nicaraguense».
Violeta si oppone così a Daniel ed al Fsln: ottiene il 55% dei voti, mentre il Fsln si ferma al 41%; la Uno conquista inaspettatamente la maggioranza dei rappresentanti nell'Assemblea nazionale (cinquantuno), mentre il Fsln si trasforma nel maggior partito d'opposizione (con trentanove parlamentari).
George Bush
Daniel riconosce immediatamente la sconfitta, affermando che «sono orgoglioso di aver portato a termine questa grande battaglia democratica, culmine del glorioso processo iniziato il 19 luglio del 1979, che ha dato la dignità e la sovranità sempre negate al popolo nicaraguense», e si impegna a collaborare per la ricostruzione del paese. Dal canto suo, Violeta (della quale è arcinota l'assoluta incapacità di comprendere ed esprimere un qualunque concetto politico) promette pace e riconciliazione nazionale per lo sviluppo. Il governo di Washington (George Bush) non solo revoca immediatamente le sanzioni economiche decretate da Reagan nel 1985, ma stanzia addirittura cinquecento milioni di dollari in aiuti.
La sconfitta elettorale del Fsln ha di certo molteplici concause, fra le quali la convinzione di molti elettori che un miglioramento della situazione economica è possibile solamente con un governo gradito a Washington; ma anche il crollo dei paesi dell'Est europeo (dai quali non è più possibile attendersi alcun sostegno economico) e l'invasione militare di Panamá un paio di mesi prima (che, oltre a bloccare nelle banche locali i conti in dollari del governo sandinista ed occupa militarmente l'ambasciata del Nicaragua, dimostra la mai sopita volontà aggressiva del potente vicino del nord). Anche gli errori, pur compiuti in buona fede, hanno naturalmente il loro peso. Infine, ma non ultimo per importanza, il rifiuto di molta parte della popolazione nei confronti del servizio militare obbligatorio, decretato alcuni anni prima dal governo sandinista per far fronte agli attacchi armati della contra.
I danni causati dalla guerra di aggressione sono davvero rilevanti, nonostante (almeno ufficialmente) venga definita «guerra di bassa intensità»: oltre a cinquantamila morti, le strutture produttive perdono diciassette miliardi di dollari, ossia la produzione nazionale di sei anni.
Resta però il fatto che un potere rivoluzionario si sottopone alla prova delle elezioni ed accetta la sconfitta: si tratta di un'esperienza unica nella storia del mondo.


Per approfondire questi argomenti, si consiglia la lettura di:

Rodrigo Rivas, America Centrale, Cespi 1981
Marcello Carmagnani e Giovanni Casetta, America Latina: la grande trasformazione, Einaudi 1989
Giulio Girardi, Marxismo, sandinismo, cristianesimo. La confluenza, Borla 1986
Hector Pérez Brignoli, Storia dell'America Centrale, Edizioni nuovo mondo 1990
Maurice Lemoine, Guida storico-politica dell'America Latina, Edizioni associate 1989
Daniele Pompejano, Storia e conflitti del Centro-America, Giunti 1991
Angelo Colleoni, Breve storia delle aggressioni Usa, Editrice aurora
1989 Marco Cantarelli (a cura di), Centro-America tra negoziato e conflitto, Edizioni associate 1990
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