Pepe, presidente dell’Uruguay: Il capitalismo sembra aver dato tutto di sé

MujicaSarebbe logico che sia rimpiazzato dal socialismo democratico. Dobbiamo trasformare lo stato, fare questa rivoluzione, commenta. In qualsiasi sistema non c’è niente di più bello, di più prezioso della vita.” Vale la pena lottare perchè la gente abbia un po’ più di cibo, afferma Il gran elemento distributore nella società è il salario- 

 
articolo tratto dallo Speciale per la Jornada, periodico La Jornada, 22 Febbraio 2015 p.2 
autore: Carlos Gabetta* 
 
Pepe Presidente, detto così come nel titolo, sembra uno slogan elettorale. Ma Josè Mujica sta per concludere – questo primo marzo – il suo mandato come Presidente ed è più “Pepe” che mai. E’ mezzo secolo che svolgo questa professione ed ho avuto l’opportunità di conoscere e avere scambi di diverso grado con mandatari dei più diversi, da Ronald Reagan a Raúl Alfonsín, passando da Fidel Castro, Michail Gorbachov, Lula, François Mitterrand, Sandro Pertini, Michelle Bachelet e Carlos Menem, ma “Pepe” differisce da qualsiasi modello; è decisamente un’altra cosa. L’unico che ho conosciuto che gli assomiglia è l’argentino Arturo Illìa, però lui era lontano dall’arsenale teorico e dall’esperienza politica e vitale di “Pepe”.
 

L’11 febbraio scorso, alle 10 del mattino, la giornalista svizzera  Camilla Landböe, il fotografo Óscar Bonilla, l’amabile conduttore dell’intervista Federico Fasano Mertens, il direttore di stampa della Presidenza dell’Uruguay Joaquín Costanzo ed io medesimo, siamo arrivati alla semplicissima e florida cascina di “Pepe”, a pochi chilometri da Montevideo. Esce il Presidente a riceverci, indossando una camicia con maniche arrotolate e fuori dai pantaloni da cowboy, scarponi mezzi slacciati e berretto da baseball. Saluta, stringe le mani, ci sediamo sotto un albero, prende un thermos e comincia a preparare il mate e a servirlo a tutto il gruppo. Ogni tanto interrompe per chiedere a Bonilla che gli presti tabacco e cartine per arrotolarsi una sigaretta. Anche se la descrizione lo suggerisce, non c’è né posa, né ricerca di pittoresco in “Pepe” Mujica. Respira, traspira, trasmette autenticità, dimostrata dalla sua vita di sempre e soprattutto da quello che fa, da quello che dice. Non ho conosciuto politici e men che meno presidenti, che si esprimano con tanta libertà riguardo ai limiti ed ai problemi della loro gestione, sui propri seguaci ed alleati, con un linguaggio che è una miscela tra profondo intellettuale e uomo della strada. “Pepe” è uno di quei rari marxisti che hanno compreso il materialismo umanista di Marx e fanno sforzi per attualizzarlo. In ogni caso è un uomo colto e profondamente onesto, sincero. Si può essere d’accordo o meno, con tutto o parte di ciò che egli esprime, ma è impossibile non meravigliarsi di fronte a un personaggio così.
 
“Pepe”, Presidente della Repubblica Orientale dell’ Uruguay.
 
CG (Carlos Gabetta): Cominciamo con le questioni formali: come ci rivolgiamo a lei? La chiamiamo Presidente, signor Mujica, Josè o….
 
JM (José Mujica): Pepe… e ci diamo del tu.
 
CG: Grazie Pepe. Allora cominciamo. Per un uomo come te, che ha combattuto negli anni ’70 per cambiamenti politici, economici e sociali rapidi, definitivi, per una rivoluzione, e ha pagato per questo, tra le altre cose con 15 anni di carcere… Cosa significa, anni dopo tutta questa esperienza, diventare Presidente eletto, trovarsi alla testa di una alleanza di centro sinistra, con compagni che hanno idee diverse e con una responsabilità di governo?
 
JM: Noi uomini, come qualsiasi cosa viva, amiamo molto la vita. Allora volevamo un mondo perfetto. Dopo abbiamo sofferto abbastanza, ma per mancanza di velocità, perchè ci hanno presi (risate), non perchè eravamo eroi. Però da lì abbiamo iniziato a ridare valore al ruolo che ha la vita, niente di più e niente di meno… Vale la pena lottare perchè la gente abbia un po’ più di cibo, una casa migliore, più salute, più educazione e trascorra il tempo sul pianeta nel miglior modo possibile. Però non c’è niente di più bello, più prezioso della vita. E’ così nel capitalismo, lo fu nel feudalesimo, lo fu per l’uomo primitivo… e lo sarà nel socialismo. Non c’è niente come la vita…. questo è ciò che abbiamo appreso in questi anni, che la vita è il primo valore  e comunque il secondo valore è la società.
Per questo andiamo lentamente, però in modo fermo, cercando di puntellare trasformazioni che sono relative; lente perchè devono essere condivise; che non sono definitive, perche l’unica cosa definitiva è la morte…
 
CG: Quello che dici si potrebbe intendere, tradurre, come un adattamento alla realtà…
 
JM: Uno non smette mai di adattarsi alla realtà, che è molto complessa… E’ una maniera di vedere il mondo… alcuni lo vedono attraverso un’equazione religiosa, altri meramente ideologica… io mi sento ogni giorno di più imparentato con vecchi filosofi come Seneca, come Epicuro, come…
CG: Eraclito…
 
JM: Sì… Ovviamente ci sono convinzioni, un tragitto intellettuale a cui uno non rinuncia, però non dobbiamo essere schematici… Penso che l’uomo, come animale quale è, per il disco rigido che abbiamo all’interno, è gregario: non è un felino, è antropologicamente socialista. In che senso? Ha bisogno della  comunità per vivere; non può vivere isolato, ha una profonda dipendenza dal gruppo sociale. Ha vissuto più del 90 per cento della sua esistenza umana in forma primitiva, non separava il mio dal tuo; la proprietà, la concorrenza e tutto quello che è venuto dopo. Lo sviluppo della società è stato costruito sull’individualità; la nozione di individuo accaparratore è moderna,. Capitalista. Noi siamo capitalisti per formazione storica, perchè abbiamo vissuto in questo momento di sviluppo della civilizzazione.
 
CG: Pochi giorni fa ho letto una tua frase: “avremo la guerra finchè la natura ci obbligherà ad essere civilizzati”.
 
JM: E sì, più o meno è così. Il capitalismo, come tutto, è contraddittorio. Da una parte ci sono l’ingiustizia, la diseguaglianza, le guerre: però quest’egoismo che si porta dentro è un motore formidabile, che ha sviluppato scienza, tecnologia, tutto ciò, vero? Il capitalismo ci ha dato molte frustate, però ci ha regalato 40 anni in più di vita media nell’ultimo secolo… che te ne pare? Adesso sembra che abbia dato tutto di sé; la cosa logica è che il socialismo democratico lo rimpiazzi, però i tempi della storia sono lunghi. Il capitalismo si sviluppò in tre secoli senza democrazia politica….
 
CG: Una volta avevi detto una cosa come “non bisogna lamentarsi dei problemi, bisogna affrontarli.”
 
JM: Sì il punto è trovare la maniera…
 
CG: Appunto, una volta nel governo come quello che presiedi, come si  risolvono queste contraddizioni?
 
JM: Si va negoziando ciò che si può, cercando di contribuire a far sì che la società sia la più equitativa possibile, intervenendo permanentemente con politiche fiscali, sociali, promuovendo l’organizzazione dei lavoratori perchè discutano il prezzo delle proprie braccia.  Perché in definitiva il grande elemento distributore della società, almeno allo stato attuale, è il salario. Non è l’unico e inoltre ha un limite, perché se metto troppo le mani al portafoglio di chi deve investire, non investe ed alla fine ho meno da distribuire… Guarda il risultato umano e pratico che hanno avuto gli esperimenti sbrigativi, “definitivi” del socialismo: alla fine avevano meno da distribuire….
 
CG:Sono stati anche esperimenti antidemocratici..
 
JM: Senz’altro, perché quando tutto diminuisce devi cadere nella ferocia repressiva. Però la cosa peggiore di questo socialismo è la burocrazia. Incominci a dipendere non dai produttori ma dai caporali… Il capitalismo ha i problemi che conosciamo, però c’è sempre qualcosa da imparare, persino dall’avversario. Bisogna imparare dall’intelligenza, non dalla stupidità.
 
CG: Fino a che punto è avanzato il Frente Amplio (FA) e cosa gli rimane da fare?
 
JM: Il problema è che abbiamo un’eredità come è normale che sia. A partire dalla decade degli anni ’40 – le date potrebbero essere arbitrarie- la democrazia in Uruguay si è sfilacciata; siamo caduti nel clientelismo, nell’utilizzare lo stato per impiegare molta gente, e così gli abbiamo tolto competitività. Per una sorta di “protezionismo” verso la gente che lavora abbiamo creato una categoria di funzionari praticamente intoccabile che hanno l’avvenire assicurato; una volta entrati nel pubblico impiego, nel giro di 40 anni vanno in pensione e nessuno li tocca, qualsiasi cosa facciano. Lo Stato ha perso vigore e ovviamente i sindacalisti difendono queste “conquiste”, così si trasformano in difensori dello status quo che immobilizza lo Stato… Toccare ciò in Uruguay è come fare una rivoluzione… Perciò siamo rimasti a metà strada.
Il Fronte ha cercato di dar forza alle conquiste essendo meno demagogico, cercando di fare le cose in modo migliore, però dobbiamo trasformare lo stato, fare questa rivoluzione. Abbiamo gli strumenti, però dobbiamo metterci d’accordo: oltre all’energia, alle comunicazioni eccetera, lo Stato ha in mano la banca principale del paese; il 60% dei movimenti bancari è in mano allo Stato e  noi (FA) portiamo avanti lo slogan “bisogna nazionalizzare la banca”…
Perchè nazionalizzare la banca? La banca nazionale deve funzionale a “muso duro”, in modo che la banca privata non abbia altra possibilità che accettare le regole del gioco. Questa è una di quelle sfide che abbiamo davanti.
 
CG: Come in Cile, e a differenza dell’Argentina, in Uruguay i crimini della dittatura degli anni ’70 hanno goduto di una legge di caducità, plebiscitaria…
 
JM: Credo che il popolo uruguayano abbia avuto paura.. e con abilità, in qualche modo, ha deciso di fare buon viso a cattivo gioco…. Difficile, duro, però ha dato la priorità alla tranquillità.
 
CG: Ma successivamente la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionali alcuni aspetti di questa legge dell’oblio, per darle un nome. Come è stata trattata questa questione nel tuo governo?
 
JM: Il problema è complesso. Da una parte, i criminali non si autoaccusano; dall’altro, hanno lasciato poco spazio, direi nessuno, perchè la giustizia si applichi pienamente, perciò ne avremmo per moltissimo tempo. La verità e la giustizia tendono a essere contraddittorie e il problema è nella divisione politica e nelle liti,  nell’odio che ciò genera nella società quando si prolunga nel tempo. Pensa all’Argentina, hanno iniziato bene, ma poi c’è stato un infangamento così generalizzato e massificato che sono passati 30 anni e ci sono punte e frange dappertutto… In Uruguay no.. abbiamo avuto violenza e dittatura, però la gente ha deciso di dimenticarlo, se vogliamo. Vedremo come si risolverà istituzionalmente la faccenda della Corte Suprema.
Infine, parlando di giustizia, e non solo rispetto ai crimini della dittatura, l’Uruguay funziona con un sistema giuridico in accordo con il passato, ma non con i cambiamenti necessari nel presente. Se tu in Uruguay vuoi mettere un’imposta alla terra, alla concentrazione di terre, finiscono per dichiararlo incostituzionale. Come in tutto il mondo, e sempre nella storia, la giurisprudenza è stata pensata per le classi dominanti,  per gli strati conservatori. Dobbiamo confrontarci con questo problema; non l’abbiamo trasformato. Noi (il FA) avremmo dovuto iniziare da un pezzo una riforma costituzionale, perchè se non cambi gli strumenti giuridici poi ti ritrovi con queste contraddizioni, con un tremendo freno. La Giustizia, questa signora che raffigurano con la benda sugli occhi e la bilancia in mano… non esiste, perchè la giustizia riflette il peso delle classi che dominano in una società. Gli strumenti giuridici sono sottomessi alla storia e la storia è una lotta di classe… Tutto è influenzato dalla politica. Credo che non esista un atto più politico della rivoluzione, e tutte le rivoluzioni sono state fondatrici di diritto, fonte di giurisprudenza. Ossia la o le classi dominanti sono quelle che stabiliscono le leggi. Questo è quello di cui abbiamo bisogno ora,  cambiamenti democratici, ovvero approvati dalla maggioranza, ma fondamentalmente che corrispondano e allo stesso tempo permettano i cambiamenti di cui l’Uruguay ha bisogno nel presente.
 
CG: Marx sarebbe d’accordo con te.
 
JM: O meglio, io sono d’accordo con Marx…
 
CG: Vorrei passare al tema regionale, Pepe. Il Mercosur, per esempio, che è stato creato nel 1989 e ancora non è andato oltre alcuni accordi commerciali e doganali, che neanche funzionano molto bene… Cosa ne pensi di questi organismi, allo stato attuale  e riguardo a quello che dovrebbero essere?
 
JM: Nell’America del Sud e in tutta l’America Latina, abbiamo una grande sfida davanti a noi. Se non creiamo meccanismi che ci aiutino ad integrarci, che ci possano dare una presenza internazionale di peso, continueremo come foglie al vento. E’ evidente che nel mondo si stanno organizzando gigantesche unioni. La Cina è uno stato plurinazionale vecchissimo; l’India è simile. Gli Stati Uniti, con il potere e le necessità che ha, con il Canada dietro e il Messico, un boccone a portata di mano, è già di fatto diventato un’unione. L’Europa, con tutti i problemi che attraversa, continua il progetto di creare una giganatesca unità. E se domani fallisce, finirà ingoiata da un’unione più grande.
E noi cosa facciamo in questo mondo, un sacco di repubbliche isolate che arrivano correndo dietro? Continuiamo a mantenere “il progetto nazionale”. Nei paesi determinanti dell’America Latina: Brasile, Argentina, Messico, i dirigenti parlano e ipotizzano un discorso integrazionista, ma dal punto di vista pratico sono immersi fino al collo nelle contraddizioni dello stato nazionale. Verso l’esterno, verso gli altri paesi della regione, si comportano secondo le tensioni interne… Siamo lontani dal tenere una politica di costruzione. Abbiamo fatto un patto doganale per negoziare, però appena c’è una contraddizione interna “tac” già ci mettono un tappo… Qualche giorno fa, ho presenziato ad un atto politico del Partito dei Lavoratori brasiliano, dove c’era niente meno che la presidenta Dilma Roussef e Lula… Ho ascoltato attentamente tutti i discorsi, e in nessun momento hanno parlato di integrazione. Non lo fanno per cattiveria; sono tra i migliori. Ogni volta che c’è un problema col Brasile, parliamo e negoziamo e lo risolviamo, ma la politica interna e i problemi del brasile gli impongono un’agenda… E allora cosa stiamo facendo? Creiamo organismi, nuove istituzioni, Mercosur, Unasur….
Il progetto di integrazione ha 200 anni, da San Martìn, Bolivar, Artigas, ma noi partiti di sinistra siamo stati così sprovveduti che ciò non è una bandiera popolare; in nessuna parte dell’America Latina c’è una manifestazione di masse che lottano per l’integrazione… ciò ha appena una vernice di carattere intellettuale, ma non è integrato come una necessità storica di base.
Sai chi sono i più integrazionisti? I paesi piccoli, per necessità… perchè gli corriamo dietro. L’integrazione necessita una direzione, e questa direzione si chiama Brasile…ma l’Argentina dovrebbe accompagnare e non accompagna un cavolo, anzi fa il contrario, è come se l’Argentina fosse retrocessa ad una visione del 1960.
 
CG: Quando ha il vento in poppa l’Argentina si dimentica dell’integrazione, quando le vanno bene le cose prende altre strade….
 
JM: Anche il Brasile… Ti farò una confessione: mi ha detto una volta la presidenta del Brasile: “ Ay Pepe, con l’Argentina bisogna avere pazienza strategica…!”
Il Brasile ha incassato di tutto dagli argentini, ma non vuole perderli come alleati. L’Argentina finisce per essere determinante in tutto… quello che fa o non fa l’Argentina incide nel cammino che prenderà il Brasile.
 
CG: L’ha detto Dilma? O Lula?
 
JM: Dilma, Lula pensa la stessa cosa… E mi vengono a cercare perchè mi faccia carico della lotta per l’integrazione. Lula dice: io non posso, Pepe, perchè sono brasiliano,  (…) c’è una forte borghesia paulista (di Sao Paulo NdT), che, senza direzione politica, colonizza invece di integrare. Fanno un investimento in Uruguay e comprano qualcosa che abbiamo fatto, anziché fondare una cosa nuova. Adesso abbiamo il 40% dei frigoriferi in mano ai brasiliani. Vanno in Argentina e fanno la stessa cosa. Cioè, l’unica cosa che fanno è disintegrarci.
 
CG: Gli argentini fanno altro, quando possono…
 
JM: Anche, perchè ciò è naturale all’interno della voracità capitalista. Ma politicamente parlando… io non vado a chiedere a dei borghesi che siano socialisti…
 
CG: Ma sì che siano dei buoni borghesi….
 
JM: Certamente! … Questa è la cosa più grave di tutti i problemi…le nostre borghesie sono molto arretrate, sono borghesie capitaliste, ma hanno una mentalità precapitalista: in ogni caso dipendente.
*Giornalista e scrittore.
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