Honduras “Lo vogliamo libero!”

  Honduras “Lo vogliamo libero!”

Genitori di Rommel Herrera esigono la sua liberazione e quella degli altri detenuti politici

Tegucigalpa, 23 luglio (Rel-UITA | LINyM) -.
Il 31 maggio scorso, la gigantesca  mobilitazione della Piattaforma per la difesa della sanità e l’istruzione, che da mesi lotta contro il progetto di privatizzazione dei servizi pubblici, è stata brutalmente repressa da militari e corpi speciali della polizia. Nonostante la forte tensione che si respirava in capitale, l’ambasciata statunitense a Tegucigalpa era rimasta inspiegabilmente senza la consueta protezione delle forze di polizia.

Tutto era pronto per inscenare un nuovo “falso positivo”, che sarebbe servito a criminalizzare la protesta pacifica e a mandare un messaggio di terrore alla gioventù honduregna, scesa nuovamente in piazza a fianco di medici e maestri.

Rommel Baldemar Herrera Portillo è un giovane maestro di soli 23 anni. Come molti suoi colleghi ha deciso di partecipare alle manifestazioni della Piattaforma. Mentre transitava di fronte all’ambasciata degli Stati Uniti, vide che alcune persone stavano dando fuoco a dei copertoni proprio davanti alla porta principale della sede diplomatica. Rommel non ci pensò due volte, prese anche lui un paio di copertoni e li lanciò nel falò, poi si rimise in cammino.

Erano passati pochi minuti quando varie pattuglie della polizia militare lo raggiunsero. Rommel venne arrestato e il giorno dopo il Pm lo accusó di danni alla proprietà e incendio aggravato. In attesa dell’udienza preliminare, il giudice dispose la custodia cautelare nel carcere di Tamara, a pochi chilometri da Tegucigalpa. Contravvenendo alla disposizione, le autorità carcerarie decisero di trasferirlo nella prigione di massima sicurezza “La Tolva”, a più di 60 chilometri dalla capitale.

L’udienza preliminare si è svolta il 6 giugno scorso. Nonostante gli avvocati di Rommel abbiano confutato le deboli prove presentate dal Pm, il giudice ha decisio per il rinvio a giudizio del giovane maestro e ha confermato la custodia cautelare nel carcere di massima sicurezza.

I genitori di Rommel, Juan Carlos Herrera e Maricruz Portillo, entrambi professori, hanno dichiarato che il ragazzo è scomparso per 72 ore, durante le quali è stato torturato fisicamente e psicologicamente. Cofadeh, Conadeh, Conaprev e Cptrt hanno confermato quanto denunciato dalla famiglia [1].
“Nostro figlio è un detenuto politico. Incarcerandolo il regime vuole mandare un messaggio alla popolazione che lotta per rivendicare i propri diritti. In questo modo vogliono frenare e criminalizzare la protesta sociale”.

-Cosa è accaduto dopo il 6 giugno?

-JC Herrera: Siamo convinti che la decisione del giudice sia stata profondamente ingiusta. Ciò che più ci preoccupa adesso è che possa succedere qualcosa a Rommel. Per il momento è in cella con altri due detenuti politici (Edwin Espinal e Raúl Álvarez) e tutti e tre sono esposti a possibili aggressioni. Sono in pericolo. Più che una prigione di massima sicurezza si tratta di un centro di massima tortura.

-Come sta Rommel?

-MC Portillo: Nonostante la situazione difficile e le minacce sempre latenti lo abbiamo visto più forte e meno teso. Sta reagendo.

-Le autorità hanno spiegato perché lo hanno trasferito a La Tolva?

-MCP: L’atteggiamento delle autorità carcerarie è stato deplorevole. Prima l’hanno trasferito ignorando la disposizione del giudice, poi l’hanno reso irrintracciabile per 3 giorni. Ora ci rendono la vita impossibile per poter andare a trovarlo, ci attacano, ci insultano.

Durante un programma televisivo in cui eravamo tra gli invitati, il vice direttore dell’Istituto nazionale penitenziario, German McNeil, ci ha aggrediti verbalmente e ha insultato i detenuti politici. Ha detto che sono vandali, che sono estremamente pericolosi ed è per questo motivo che sono stati mandati a La Tolva.

Sono accuse assurde dietro le quali si nascondono decisioni che sono chiaramente politiche.

-Che cosa succederà ora?
 

-JCH: Stiamo aspettando che la Corte d’Appello si pronunci sul ricorso che abbiamo presentato alla Corte Suprema e poi comincerà il processo. Nostro figlio ha solo buttato dei copertoni in un falò. Sono altri quelli che hanno preparato e acceso il fuoco. Nessuno sa chi siano e nessuno li cerca. Ci domandiamo perché, anche se conosciamo perfettamente la risposta.

Vogliamo che la pubblica accusa ridefinisca il reato e che Rommel possa difendersi mentre usufruisce di misure alternative alla detenzione.

 -Voi avete dichiarato pubblicamente di ritenere responsabile il presidente Hernández per quello che potrebbe succedere a Rommel.

-MCP: Rinchiuderlo a La Tolva è una punizione e una tortura allo stesso tempo. Il posto non è sicuro per dei detenuti politici e ci hanno anche detto che, in caso di rivolta, le autorità non si faranno carico della sicurezza di Edwin, Raúl e Rommel. 

La prendiamo come una minaccia non solo da parte del regime, ma anche dell’ambasciata statunitense che continua a sostenere questa gente e a prestarsi al loro sporco gioco.

Stanno reprimendo e criminalizzando la protesta pacifica di maestri e medici e ora inviano messaggi minacciosi ai giovani che mostrano la loro solidarietà con questa lotta.

A Rommel Baldemar è toccato vivere questo momento storico e stiamo lottando affinché venga liberato.

-JCH: Ci siamo più volte rivolti alla direttrice dell’Istituto nazionale penitenziario, Rosa Gudiel, affinché trasferisca Rommel e gli altri detenuti politici in un’altro carcere, ma non abbiamo avuto risposta. Se succede qualcosa i responsabili saranno Rosa Gudiel, German McNeil e il loro capo Juan Orlando Hernández.

 -Voi come state?

 -JCH: Sto molto male sia fisicamente che mentalmente. Rommel è un ragazzo di spirito nobile ed è molto empatico. Saperlo recluso mi fa soffrire, ma il desiderio di vederlo presto in libertà mi dà forza.

-MCP: Mi sento a pezzi, non ho nessuno con cui litigare (risata). Ho fiducia che esca presto da questo inferno. Rommel sta lottando, si sta reinventando e rinnovando giorno dopo giorno in questo ambiente ostile.

[1] Comitato dei familiari dei detenuti scomparsi in Honduras (Cofadeh), Commissione nazionale dei diritti umani (Conadeh), Comitato nazionale di prevenzione della tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti (Conaprev), Centro di prevenzione, trattamento e riabilitazione delle vittime di tortura e delle loro famiglie (Cptrt)

Fonte: Rel-UITA

di Giorgio Trucchi | Rel-UITA

traduzione: Federica Comelli