La scomoda vittoria del Nicaragua sul covid-19 

La scomoda vittoria del Nicaragua sul covid-19
John Perry -Quaderno Sandinista
26/11/2022
In Nicaragua, il terzo paese più povero dell’America Latina, la gente che non lavora non mangia. I tre quarti degli impieghi si trovano in piccole imprese o nell’economia informale. All’epoca, quando si diagnosticò il primo caso di Covid il 18 marzo 2020, il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega, sapeva che chiudere l’economia sarebbe stato catastrofico. 

Era sotto pressione da tutte le parti perché introducesse rigide restrizioni. Tra i paesi vicini al Nicaragua, El Salvador registrò il suo primo caso il 18 marzo e due giorni dopo impose l’isolamento; l’Honduras fece la stessa cosa; il Costa Rica impose un blocco il 16 marzo e tre giorni dopo chiuse completamente le frontiere. Questi governi vicini, tutti politicamente ostili verso il Nicaragua, insistettero affinché si unisse alla chiusura dell’economia regionale. 

All’interno del Nicaragua, anche vociferanti gruppi d’opposizione e mezzi d’informazione chiedevano la chiusura dell’economia. Ma il paese si era appena ripreso da uno scontro violento tra questi gruppi d’opposizione ed il governo socialista sandinista di Ortega, avvenuto nel 2018 con un saldo di oltre 200 morti. Un blocco avrebbe solo esercitato maggior pressione sulla nazione divisa. 

Quando Ortega dichiarò pubblicamente che non vi sarebbe stato isolamento, la maggioranza dei nicaraguensi accettò in silenzio tale decisione potenzialmente arrischiata, sapendo che aveva ben poche altre opzioni. Inevitabilmente, l’opposizione di destra lo accusò di negare la pandemia. Ma peggio ancora, seminò la paura ed il sospetto con previsioni che il servizio sanitario sarebbe collassato. Un gruppo di esperti dell’opposizione pronosticò 120.000 casi di covid per giugno; un canale locale dei media di destra, 100% Noticias, lo superò affermando che 23.000 nicaraguensi sarebbero morti nel giro di un mese. Non appena il governo cominciò a pubblicare statistiche relative al covid, venne creato un “osservatorio civico” antagonista, che non dichiarò mai la sua appartenenza o fonte di finanziamento. Cominciò a produrre rapporti settimanali che mettevano in discussione i dati del governo (benché le postille scritte in piccolo sul loro sito web rivelassero che le proprie statistiche si basavano su segnalazioni su reti social e perfino sul “sentito dire”). Molti nicaraguensi, compresi alcuni che conoscevo, avevano tanta paura di andare in ospedale quando manifestarono i sintomi del covid, che li lasciarono progredire troppo. 

Questa narrativa disonesta prontamente si estese all’estero, dove le figure dell’opposizione nicaraguense godono di buoni contatti sui media internazionali. Il 4 aprile la BBC Mundo affermò che il governo di Ortega non aveva adottato “alcuna misura” contro la minaccia del virus. Inventò un tropo mediatico: la “lunga assenza” di Ortega dalle apparizioni pubbliche. Due giorni dopo, il New York Times chiese: “Dov’è Daniel Ortega?” e affermò che il governo era stato “ampiamente criticato per il suo approccio arrogante”. The Guardian si unì al coro, affermando che Ortega “non era visibile”, e quattro giorni dopo aggiunse che l’”autoritario” Ortega era uno dei quattro leader mondiali che negavano il virus. Il Washington Post dichiarò che Ortega era “scomparso”, lasciando un governo ad operare con un “approccio da laissez-faire” di fronte alla pandemia. Il 6 aprile The Lancet pubblicò una lettera in cui si definiva la risposta del Nicaragua al covid “finora probabilmente la più bizzarra di qualunque paese al mondo”.  Secondo il New York Times, entro maggio il Nicaragua – “uno degli ultimi a respingere le rigide misure introdotte a livello mondiale”- sarebbe diventato un paese di “sepolture a mezzanotte”. 

Le menzogne dei media liberali non avrebbero potuto essere più lontane dalla realtà. Il governo di Ortega aveva priorizzato l’investimento nella sanità da quando era tornato al potere nel 2007, elevandolo al 19% del bilancio nazionale nel 2020, uno dei livelli più alti al mondo. Il Nicaragua fu anche uno delle prime nazioni della regione a stabilire la propria strategia Covid, emettendo un protocollo congiunto con l’Organizzazione Panamericana della Sanità (il ramo americano dell’OMS) il 9 febbraio. I suoi 36.000 lavoratori sanitari avevano ricevuto formazione su come affrontare il virus prima che si presentasse il primo caso. Si destinò un ospedale per trattare unicamente malattie respiratorie e altri 18 furono dotati di reparti d’isolamento per il Covid. Le “brigate” di salute lavorarono localmente e in conclusione realizzarono 5 milioni di visite casa per casa per educare le persone, identificare possibili casi di covid e contrastare l’informazione erronea. Ciò corrisponde in media a circa 4 visite per casa. 

Tanto per non prendere “in assoluto alcuna misura contro il virus”. Si attivò un sistema di “monitoraggio e localizzazione” e si attuarono controlli sanitari ai valichi di frontiera mesi prima che il Regno Unito o gli Stati Uniti adottassero misure simili. Mentre il turismo si fermò e alberghi e ristoranti chiusero, molti altri esercizi commerciali rimasero aperti adottando precauzioni. L’uso di mascherine, mai imposto per legge, diventò quasi universale. Le scuole private chiusero ma le pubbliche rimasero aperte, con assistenza volontaria, perché molti bambini dipendono dai pasti scolastici gratuiti che vengono serviti a tutti gli alunni. 

Quale fu il risultato? Ci fu un forte picco di casi e morti per covid tra maggio e luglio 2020, ma in agosto i numeri andarono diminuendo gradualmente, sebbene tornassero a raggiungere il punto massimo a metà del 2021. Il mio ospedale locale, uno dei 19 attrezzati per il Covid, poté realizzare una piccola festa nell’agosto 2020 per i pazienti che erano stati dimessi. 

Nulla di questi iniziali successi servì a smorzare le critiche. L’articolo di The Lancet elogiò le politiche di confinamento di El Salvador e Honduras. Nel primo, il presidente Nayib Bukele obbligò le persone all’autoisolamento, offrendo un sussidio di 300 dollari per famiglia, il che provocò code massicce non regolamentate e in seguito rumorose proteste di fronte agli uffici governativi. I resoconti riportano che in alcune zone il blocco fu imposto da bande armate di mazze da baseball. Nel frattempo in Honduras, secondo il gruppo dei diritti umani COFADEH, una “quarantena militarizzata” sfociò in violenza poliziesca, oltre 1.000 arresti e quasi 900 veicoli requisiti. Le scuole honduregne rimasero chiuse per due anni. Tuttavia, entrambi i paesi riportarono livelli di contagio più alti che in Nicaragua. La stessa cosa fece il Costa Rica, che sostenne la più feroce alluvione di critiche al suo limitrofo e per molte settimane impedì perfino il trasporto di alimenti fra i due paesi. 

I media internazionali non presero in esame se le chiusure fossero la scelta migliore per il Nicaragua o se fossero fattibili. La verità venne a galla solo verso la fine dalla pandemia, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità, The Economist ed Amnesty International produssero stime diverse circa l’eccesso di morti relazionato con il covid. Tutto dimostrò che, in confronto al resto dell’America Latina, e in realtà anche al Regno Unito e agli USA, al Nicaragua era andata relativamente bene. L’OMS collocò il suo livello di eccesso di morti al 14° posto tra i 19 paesi della regione, migliore dei suoi quattro vicini immediati. 

Per quanto riguarda i vaccini, il Nicaragua all’inizio si trovò in svantaggio poiché, a differenza dei suoi vicini, non ricevette donazioni precoci di vaccini dagli USA o dalla Cina. Tuttavia, una volta arrivate le dosi attraverso il meccanismo Covishield dell’OMS, si procedette rapidamente. Le sue equipe sanitarie comunitarie hanno fatto sì che l’86 % della popolazione sia completamente vaccinato, il tasso più alto dell’America Centrale, ed il 91 % abbia ricevuto almeno una dose. Tutto questo fu ottenuto senza le disposizioni coercitive sulla vaccinazione adottate da molti paesi occidentali. 

Rifiutandosi di chiudere, il presidente Ortega ha salvato il suo paese dal disastro economico. L’economia del Nicaragua si è ripresa rapidamente dalla pandemia, con una crescita del PIL di oltre il 10 % nel 2021 ed una previsione del 4 % per quest’anno. Il governo ha ripreso i programmi d’investimento ed ora ha 24 ospedali costruiti o in fase di completamento, oltre ad investire in energie rinnovabili, asfaltare strade rurali, ristrutturare scuole e raggiungere il livello più alto di copertura elettrica nella regione. 

L’esperienza dell’America Latina col covid è stata molto diversa: Brasile, Messico e Perù erano, come il Regno Unito e gli Stati Uniti, tra i 20 paesi coi più alti livelli di morti relazionati con il covid. Al contrario, secondo l’Università Johns Hopkins, in Nicaragua il tasso di mortalità ogni 100.000 abitanti era uno dei più bassi al mondo: 189 paragonati ai 276 del Regno Unito e 374 degli USA. Ma i media internazionali non hanno fatto nulla per correggere l’informazione non equilibrata dei primi mesi della pandemia. Finora nessuno si è chiesto perché l’operato del Nicaragua è stato migliore e che cosa si può imparare dalla sua esperienza.
Varrebbe la pena verificarlo prima della prossima pandemia. 

https://cuadernosandinista.com/2022/11/26/la-inconveniente-victoria-de-nicaragua-ante-el-covid-19/?fbclid=IwAR1SqHfaq5_ET61zRUnx1mEGQ6JAHnHSunn74NYrEEufW4Mj6PyNwIYWsNE

Trad.Adelina Bottero