LA LEZIONE DI STORIA DEL NICARAGUA

LA LEZIONE DI STORIA DEL NICARAGUA

Strana, stranissima dittatura quella del Nicaragua e della “famigerata” coppia presidenziale formata da Daniel Ortega e Rosario Murillo. Una dittatura che costruisce ospedali, strade, case popolari, reti elettriche e di comunicazione, luoghi di socialità e pubblici servizi. Una tirannia anomala che demolisce invece i tentativi di golpe indirizzati alla riabilitazione di quell’ancien regime che l’FSLN ha cancellato per sempre. La vittoria contundente che si sta profilando di questa formazione politica, ora dopo ora con lo scrutinio delle urne elettorali, non ammette repliche; un’affermazione quasi plebiscitaria. Per lo stesso motivo, chissà, fa storcere la bocca a tanti e tante della sinistra nostrana ed europea, pronta a spellarsi le mani e ad alzare la voce (e noi per primi, sia chiaro) per le inaccettabili ingerenze in Venezuela in Bolivia e a Cuba, ma quasi del tutto refrattari a riconoscere quanto succede in Nicaragua. Eppure, i numeri, se non i retaggi ideologici post-novecenteschi, stanno lì a dimostrarlo. E non sono i numeri di una rediviva agenzia TASS, ma le stime di un popolo in carne e ossa con ancora addosso le ferite di sedici anni di neoliberismo.

Quello intercorso tra il 1990 e il 2006, ossia tra la sconfitta storica del Frente dopo la gloriosa e faticosa decade degli Ottanta, e la riconquista del potere dopo la mefitica parentesi del Partito Liberale. Che di liberale, aveva davvero poco, se non la disinvoltura con cui ha messo in vendita il paese, con la stessa solerzia che ha contraddistinto varie amministrazioni del continente latinoamericano, prima che venissero riconsegnate alla volontà popolare. La ola (cosiddetta) progressista, che per comodità la indichiamo come quella rappresentata nel Foro de São Paulo, racconta esattamente questa tipicità comune a tutta l’America Latina. 

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