Intervista a Bertha Zúniga Cáceres
“Dobbiamo aumentare la sovranità alimentare”
Popolazioni indigene e pandemia
Managua, 8 giugno (Pressenza | Rel UITA | LINyM)
La pandemia in Honduras continua a colpire duramente: più di 6.300 contagiati e circa 260 morti. Essendo uno dei Paesi con i più alti tassi di disuguaglianza e povertà (67%) dell’America Latina, è inevitabile che la malattia abbia colpito soprattutto i settori più vulnerabili della società.
Le zone rurali sono i luoghi dove si vedono di più gli effetti nefasti del modello neoliberale imposto dalle élites nazionali e dal grande capitale internazionale. Le popolazioni indigene e nere e le comunità contadine stanno subendo i principali impatti di una crisi sanitaria che mette a nudo la crudeltà e disumanità di questo sistema.
Nonostante le difficoltà e i limiti è essenziale raddoppiare gli sforzi e promuovere forme di autogestione e di sovranità alimentare, ha affermato Bertha Zúniga Cáceres, coordinatrice del Copinh, il Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras, e figlia di Berta Cáceres[1].
-In che modo la pandemia ha colpito le comunità indigene?
-Ha esacerbato quei problemi che sono quasi cronici, in particolare la mancanza di cibo. Fortunatamente, la maggior parte delle comunità organizzate dal Copinh sono produttrici di cereali di base. Ma ce ne sono altre che soffrono di carenza d’acqua e stanno attraversando momenti molto difficili.
Inoltre, la quarantena ha reso impossibile vendere i prodotti delle comunità e altre attività commerciali informali. C’è anche una recrudescenza della violenza di genere e un aumento degli abusi della polizia e dei militari. Non c’è stata quarantena per gli abusi.
-Ci sono stati molti abusi?
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